Condividi questo contenuto

Roma, sabato 25 ottobre, Palazzo delle Esposizioni

Anna Canepa, sostituto procuratore D.N.A.
Filippo Beatrice, procuratore aggiunto D.D.A. di Napoli
Stefano Musolino, sostituto procuratore D.D.A. di Reggio Calabria
Salvatore Tesoriero: avvocato e ricercatore all’Università di Bologna
Maria Elena Gamberini, Giudice Tribunale del Riesame di Palermo
Graziella Cadetto, Funzionaria DIA

Canepa: Dobbiamo valorizzare l’esistente, ma fare proposte del possibile. Idealmente siamo con le persone in piazza, vogliamo far sentire un costruttivo dissenso. Muoveremo da esperienze di vita.
Dall’Unità d’Italia conviviamo col problema delle mafie. Non è accettabile. Le mafie sono un ostacolo insormontabile per la crescita del Paese. Incidono sulle opportunità di sviluppo economico-sociale. La lotta al crimine organizzato dovrebbe essere una priorità: nei periodi di crisi, specialmente, la mafia offre ordine, sicurezza, lavoro…Le mafie evolvono, cambiano, ma sono sempre strettamente collegate ai territori tradizionali. Bisogna conoscere il fenomeno innanzitutto.

Dopo la legge Rognoni-La Torre gli interventi dello Stato sono stati tutti volti a rafforzare l’apparato preventivo e repressivo nei confronti della mafia. Si optò per la tecnica del doppio binario: carcere duro per i boss più spietati e norme premiali per i collaboratori.
Avanza nel contempo l’area grigia, soprattutto in terre di radicamento non tradizionale. C’è il problema del concorso esterno, l’anarchia ermeneutico-decisionale in materia. Si può tipizzare in una nuova fattispecie?
Tre pilastri fondamentali: 1) cattura dei latitanti: si eliminano intelligenze da cui derivano gli imput strategici. Occorre però sempre fare i conti con il continuo turnover, monitorando costantemente l’organizzazione 2) Applicazione dell’art. 41 bis l. ord. Penitenziario. 3) Sequestro e confisca dei beni.

Beatrice: Occorre mescolare il sapere giuridico e quello sociologico, al secondo mi sono avvicinato negli ultimi anni, durante l’esperienza alla D.N.A. Secondo Giovanni Falcone la Superprocura avrebbe dovuto avere forse un ruolo ancor più incisivo, oggi è in realtà un luogo di analisi, di studio, compiti che quando si è in prima linea non si possono fare. I gruppi mafiosi sono diversificati e meritano di essere analizzati sotto vari profili. I testi di Sciarrone, Lupo, Varese (Mafie in movimento, Einaudi) sono fondamentali.
Si può inoltre pensare a qualche riforma dal punto di vista legislativo.
Io mi sono sempre occupato di camorra, prima di quella metropolitana, poi dei Casalesi. Baumann (Modernità liquida) fotografa una situazione, la società è priva di legami solidi, la liquidità è funzionale o si accompagna alla globalizzazione. La camorra è emblematica rispetto altre mafie da questo punto di vista: ci sono una serie di formazioni, più o meno ampie, non esiste un programma generale che imponga una contrapposizione allo Stato. Si predilige l’infiltrazione, finalizzata all’arricchimento. Traffico illecito è dominante: mercato nero, contrabbando di sigarette, traffico di droga. Economia napoletana purtroppo si fonda su questo.

Controllo del territorio e del potere politico è il proprium del potere mafioso. Per altri è più importante il fine del profitto economico. Tra i due poli bisogna porre le organizzazioni nostrane.
Legami laschi: determinati soggetti li coltivano con l’esterno, con soggetti non intranei alla cosca, non c’è fedeltà in molti apparati. Nei loro confronti il 416 bis di per sé non può essere utilizzato. Si parla di burocrati, professionisti, politici.

N.B.: a volte i “soldati” sono in guerra ma i vertici coltivano alleanze e amicizie. Le indagini su specifici soggetti borderline è spesso indicativa. Bisogna seguire il denaro, vero, ma seguire soprattutto le persone, le funzioni ricoperte.

E’ fondamentale costruire un patrimonio informativo. Bisognerebbe poi agire con coscienza, senza cedere all’emozione, facendosi trascinare dagli eventi. E’ stato creato un Tribunale di Napoli Nord, ad Aversa, che ha giurisdizione sul territorio a più ampia densità criminale. E’ un pezzo del casertano e un pezzo del napoletano (Giugliano). Poi c’è Casal di Principe. Ha senso una scelta del genere?
Bisogna diversificare le energie: occorre una nuova forma di investigazione. Serve lavorare coi tecnici di Bankitalia, occorre leggere prima le operazioni sospette, il riciclaggio. Attraverso quei canali arriviamo al mondo criminale.
Adagiarsi sulle dichiarazioni dei pentiti non è sempre vincente. Non basta una convergenza generale su un fatto (es. X fa parte del clan Y). Occorre il riscontro specifico! Valorizzare la singola imputazione.
Bisogna stare attenti per esempio a contestare l’aggravante art. 7 decreto 152/1991 quando non si è in grado di provare una partecipazione associativa ma si hanno elementi di vicinanza al clan.
A Roma si sono scoperte catene di pizzeria in mano a napoletani legate alla famiglia Contini (in contrasto con i Mazzarella). In realtà è venuto fuori che i pizzaioli avevano rapporti coi vertici di entrambe le famiglie. Gli imprenditori più importanti parlano a tutti, ma ai capi. Non certo ai singoli soldati.
Il vincolo associativo è un concetto meno importante rispetto al passato per la camurrìa, conta più la funzione.
E poi che legami hanno queste famiglie? Che rapporti con le mafie internazionali? Russe e Cinesi? Quando gli stranieri vengono in Italia, hanno bisogno di cittadini nostrani per gestire i loro affari. Non c’è affectio societatis, c’è però lo svolgimento di un ruolo importante!
I reati fiscali sono i più complessi, difficili da esaminare e colpire, ma determinanti.
Poi dobbiamo implementare accordi con Stati esteri: pm italiani possono direttamente mettersi d’accordo coi colleghi svizzere? Basterebbe dare attuazione ad una decisione quadro dell’UE! Purtroppo su certi temi andiamo sempre a rilento.

La camorra compare già nel 1735 in documenti! Apparentemente è molto legata al territorio, invece nelle sue nuove manifestazioni è caratterizzata da modalità diverse.

Cadetto: la D.I.A. esiste da 20 anni ma non la si conosce bene. E’ l’FBI italiana? Falcone era convinto dell’importanza del coordinamento nelle indagini antimafia. Chinnici prima, Caponnetto poi lavoravano in questa direzione. Si mutuò l’esperienza torinese del pool antiterrorismo. Si arrivò al maxi-processo, successo giudiziario, cui seguì però la crisi del pool, l’arrivo di Meli all’Ufficio Istruzione. Falcone fu successivamente nominato procuratore aggiunto di Palermo. Lui era molto stimato negli Usa, poco in Italia. Nel periodo con Martelli, al Ministero di Giustizia, Falcone poté incidere sul sistema penale e processuale italiano. Arrivano una serie di novità:
-legge che limita utilizzo contante e titoli al portatore
-riforme al codice di procedura penale
-riforme alla legge ordinamento penitenziario
-legge sulla collaborazione di giustizia
-scambio elettorale politico mafioso

Si stabiliscono inoltre cause di ineleggibilità, incompatibilità, mantenimento cariche nella Pa; si prevede lo scioglimento dei consiglio comunale per infiltrazione mafiosa.
Arriva poi la D.I.A., un Consiglio Generale per la lotta al crimine organizzato (presieduto dal Ministro dell’Interno, conta anche i servizi segreti). Specularmente viene introdotta la D.N.A., organismo che avrebbe risolto il problema della parcellizzazione indagini. Falcone tenta di riproporre l’idea vincente di Caponnetto. L’Alto Commissariato introdotto il 6 settembre 1982 non aveva grandi poteri, non coordinava.

Il 28 ottobre 2010 il Prof. Scotti, audito dalla Commissione parlamentare, rivelò informazioni interessanti: “Quando a Washington all’Alta Corte si sono ricordati Falcone e Borsellino, c’erano grandi autorità e convennero sulla straordinaria novità introdotta dall’Italia”.

Nell’Ottobre 2011 una risoluzione Ue approva il coordinamento centralizzato indagini in crimine organizzato, prendendo ad esempio le best practises di alcuni Paesi. La frammentarietà non giova.

Legge 410/1991 istitutiva della DIA è poi confluita nel Codice antimafia del 2011. Investigazione preventiva su soggetti sospettati di far parte dell’associazione mafiosa, si incrociano dati, si individuano le persone giuste. Contrasto sotto il profilo economico. Si scandagliano gli appalti pubblici (OCAP), si lavora all’interdittiva antimafia.
Si era pensato di introdurre un concorso ad hoc per la DIA, con ruolo unico, sganciato dai propri corpi. Non è mai stato realizzato. Non deve essere svilita a quarta forza di polizia, bensì dovrebbe fare indagini più complesse coordinando e supportando più organismi.

Sono invece in atto progetti per destrutturare D.N.A. e D.I.A.: dobbiamo chiederci se servono davvero, se non sono l’ennesimo carrozzone.

Si tratta di autonomizzare i singoli agenti dai rispettivi corpi, sarebbe opportuno il concorso, e un allargamento delle competenze. C’è poi un problema: ogni corpo ha già reparti specializzati, dunque c’è un’obiettiva sovrabbondanza.

Tesoriero: Ho studiato le tecniche d’indagine di Falcone e Turone, i problemi sulla prova. E’ un fondamentale e attualissimo ancorché datato. Chiediamoci a che punto siamo: il doppio binario funziona? Come è gestito?
Processo penale è un luogo per accertare i fatti, non è un mezzo contro qualcuno. Bisogna aumentarne l’efficacia, attenuando i diritti dell’imputato se necessario (pur rimanendo entro i confini delle Carte internazionali).
Si sconta inoltre la matrice parziale della risposta; eppure le organizzazioni mafiose sono un pericolo costante per la democrazia. Contagiano i poteri legali, l’amministrazione. Il tasso di sommersione della corruzione dipende direttamente dal livello di radicamento delle cosche. Dove dominano, le denunce non ci sono.
Stato deve valorizzare la potenza criminale dell’organizzazione, ma può cedere al contempo qualcosa sul piano del proprio connotato democratico? Come rimanere autorevoli e legittimi nella risposta?
Mafia anela ad uno Stato che risponda morte con morte, “diritto penale del nemico” è logica inaccettabile. Le reazioni all’11 settembre sono state inaccettabili per esempio.
Facciamo un esempio: la perquisizione massiccia di interi quartieri è indispensabile nella cattura dei latitanti, ma mette seriamente in discussione la nostra natura democratica. L’omertà della cittadinanza giustifica questa estrema invasione, non ci sarebbe altro modo per scovarli. Costituzione, diritti umani, democrazia sono i nostri paletti.

Altri problemi:
Procure distrettuali sono 26, non si può rivedere la competenza su questi temi?
C’è il problema della circolazione delle prove, necessaria nei procedimenti complessi (ma ci sono obblighi di oralità, immediatezza, contraddittorio…).
Intimidazione è centrale: come reagisce l’ordinamento all’intimidazione dei testi? Si può fare l’incidente probatorio sempre? Si può generalizzare? L’intimidazione è ontologica? E l’omertà che riflesso ha sulle prove? I collaboratori sono strumento indispensabile, ma a che prezzo? Verità a pagamento! Sarebbe opportuno modificare il limite dei 180 gg. (termine per le propalazioni) introdotto nel 2001.
Ci sono tante tecniche investigative efficaci…ho scoperto di recente che 416 bis e ter non sono inseriti tra i reati per cui si possa agire sotto copertura! E’ normale?
E poi si tratta di seguire il flusso del denaro (la lezione di Falcone), sempre più internazionale: la sfida passa dalla Procura europea. Dovremmo estendere le competenze (occorre farlo all’unanimità, perché non si applica la cooperazione rafforzata)! Per ora non ci si può occupare di mafia, è incredibile ma è così. La battaglia va fatta lì (l’attivazione della Procura abbisogna invece di soli 9 Stati).
Sfruttare di più poi la tecnologia: fu essenziale per esempio l’esame del dna sui mozziconi di sigarette trovati intorno a Capaci. Esperimenti giudiziali vanno fatti al PC! Teniamo sempre ferma però la cornice in cui ci muoviamo. Occorre limitare al massimo le deroghe all’immediatezza, all’oralità, al contraddittorio, perché solo quei principi garantiscono l’accertamento migliore della prova, più vero.
Mafie oggi: contiguità, collusioni, criminalità economica. Serve estendere alcune tecniche anche in materia di reati tipici dei colletti bianchi. E poi auto-riciclaggio o si fa bene o non si fa! Non ha senso un massimo di 4 anni se poco prima approvi l’affidamento ai servizi sociali sino a 4 anni! Significa carcere mai.

E noi? La società civile che impatto ha? Cosa può fare?
Per evitare la retorica, torniamo alle responsabilità individuali. No ai movimenti antimafia che si beano di tesi precostituite, andiamo al di là dello slogan. Conoscenza e consapevolezza serve a noi, non snobbare ma non farsi travolgere. Mai travalicare il confine tra fiducia e consenso, il magistrato necessita della prima non del secondo. No al magistrato eroe, no agli eccessi.

Gamberini: mi occupo di limitazioni della libertà personale che giungono prima della sentenza. Servono molte più cautele dunque, c’è la presunzione di non colpevolezza. Per i reati comuni, in presenza di gravi indizi di colpevolezza e 3 pericula: inquinamento probatorio, pericolo di fuga, e reiterazione del reato. Elementi di fatto concreti devono fondare simili misure.
Per il 416 bis invece ci sono eccezioni: i tre pericula libertatis si presumono, salvo prova contraria (presunzione relativa). Inoltre si dà sempre il carcere, non gli arresti domiciliari. Si rovescia esattamente la prospettiva. L’associazione di tipo mafioso è un reato particolare: struttura e caratteristiche fanno sì che sia difficile neutralizzare i pericula. Corte Cost. ha detto ok. Dai casi concreti traiamo la regola d’esperienza che consente tale regime speciale. Inoltre c’è una ragione general-preventiva: insistendo sul territorio, il partecipante continua a commettere il reato! Solo il carcere spezza, a volte, il legame con l’associazione, è inevitabile!

Per il concorrente esterno la situazione è meno grave ma solo sulla carta; la Mannino ha specificato che la condotta presenta affinità, il dolo è lo stesso(diretto e non meramente eventuale).
La prova contraria (che esclude la misura cautelare) non è data dalla prova della dissociazione (non è l’associazione presupposta!), ma l’irrepetibilità della condizione in cui il soggetto è venuto a trovarsi, il venir meno dello strumento.

Vediamo tre casi:
-Signor P. accusato di concorso esterno al clan Mallardo: imprenditore stabilmente al servizio delle cosche, investiva denaro dei clan. Difesa dice che sono venute meno le esigenze di custodia: investimento x e y sono fatti con denaro pulito. Basta questo a fornire la prova contraria? No ovviamente, dovrebbe venir meno quella condizione che l’ha portato a concorrere nel reato. Cassazione approva la tesi del giudice.

-Signor R., al servizio dei Fabbrocino, deputato al riciclaggio. Difesa si sofferma su episodi che risalgono al 2004, i suoi beni erano già stati sequestrati. Ma a distanza di 10 anni, sono venuti meno gli strumenti del rapporto sinallagmatico: la prova contraria viene accettata, niente misura.

-Caso Cosentino: misura revocata perché non viene ricandidato alle politiche del 2013. Per la camorra non avrebbe senso interessarsi di un politico “bruciato”. Cassazione dice attenzione: questa è una valutazione congetturale, invece serve riferirsi a fatti concreti. Intanto stava x candidarsi…ma poi ci sono le ambientali clamorose! Un detenuto al telefono gli chiede di sollecitare il suo trasferimento. Idem fa Francesco Bidognetti. Insomma c’erano varie ragioni per tenere Cosentino dentro.

Concludo rilevando la necessità di articolare percorsi formativi sulla motivazione: i giudici possono e devono migliorare su questo fronte, che nel campo cautelare è determinante.

Musolino
Purtroppo le D.D.A. sono un po’ troppo autoreferenziali, ben vengano occasioni di confronto così strenuo. Io mi occupo di ‘ndrangheta, l’organizzazione più potente d’Italia e sconosciuta al tempo stesso. Solo di recente la lotta alle cosche ha fatto un salto di qualità. Olimpia è una sentenza storica, frutto di una collaborazione straordinaria dei pentiti, avevamo ricostruito l’alveare ‘ndranghetista, l’insieme delle ‘ndrine.
Il cono d’ombra di cui hanno sempre beneficiato ne ha determinato lo sviluppo clamoroso e indisturbato.
Quando Napolitano venne in visita in Calabria, fu ritrovata un’auto piena di armi… ma non per far male a Napolitano, bensì per scatenare un’indagine! Una cosca l’aveva messa, per colpirne un’altra.
Una volta si avevano collaborazioni anche promiscue, non chiare, si puntava a penetrare il mondo disordinato e conflittuale del crimine calabrese. Oggi finalmente la faccenda è diversa: l’indagine Crimine ha riscritto la storia della ‘ndrangheta, come organismo unitario e verticistico.
A Poggioreale, grazie ai Cutolo, i De Stefano uccisero Nico Tripodo, n° 1 di Reggio. Collaboratori di giustizia non sono sempre preziosi perché la struttura ha comportamenti stagni: chi sta al livello più basso spesso non sa (o addirittura travisa) certi fatti.

Il contrasto patrimoniale, fondamentale, è ancora poco sistemico, sanziona ma non impedisce la ripetizione del fenomeno.

Il cuore dell’imputazione è il comma 3 del 416 bis: il tema centrale è la forza d’intimidazione. Si esige una prova rigorosa, a volte anche al Sud. La caratteristica della ‘ndrangheta odierna è invece una minore arroganza, una maggiore tendenza al compromesso. Meno intimidazione e più collusione.
Le 4 finalità della norma sono quasi trascurate dal punto di vista probatorio e invece sono fondamentali: infiltrazione nella politica, nell’economia, nella P.A.
La prova del 416 bis è diabolica: oltre al sodalizio, occorre avere realizzato almeno qualcosa, la carica intimidatoria autonoma. Da reato di condotta pura diventa reato evento! Sul concorso esterno si pretende la causalità da rafforzamento dell’associazione, che sia verificabile ex post, è troppo!

Per quanto concerne i 41 bis, è vero che sono numerosi, alcuni non necessari.

Al di là delle confische, occorre colpire i professionisti, i faccendieri che stabilmente sono al servizio di tali consorterie mafiose. Qualificare le loro condotte come partecipanti è essenziale. Sta lì la vittoria, questi soggetti consentono alle cosche di prosperare anche dopo pesanti arresti o confische.

Nota a margine: a Reggio ci sono 25 sostituti, ce ne vorrebbero il triplo.

Dei testi bisogna notare tante cose.. come uno parla, se balbetta, se piange, se omette, se è reticente..
Minacce larvate, comportamenti impliciti. La valutazione della prova è molto complessa. Ci vuole qualificazione del giudice, specializzazione, esperienza.

Cassazione Reale: un Pelle condannato, ma la cosca Pelle viene negata!

Idoneità del 416 bis a colpire i sodalizi settentrionali: apparato strutturale strumentale, omertà sono spesso fenomeni difficili da dimostrare. Si registrano poi differenze tra sede cautelare e di merito.

La società calabrese è fortemente malata. Siamo tutti inseriti in meccanismi malati. La ‘ndrangheta attecchisce là dove trova un humus favorevole.

Canepa: 41 bis è essenziale strumento di contrasto, viene formalizzato dopo le stragi, poi la Corte Costituzionale se ne occupa. Nel 2009 si procedimentalizza la proroga di tale regime, con competenza radicata a Roma. La Consulta e la Corte Cedu affermano che il trattamento penalizza gravemente la socialità, ma la detenzione di un boss di mafia ha proprio questa esigenza.
Per la prima volta venne approvato con decreto, per 4 anni; poi prorogato di 2 in 2. Alcuni detenuti sono al 41 bis dagli anni ’90, è giusto? Oppure si discuteva di Provenzano, ormai vecchio e debilitato. Il vertice di un’organizzazione o lo dichiari incapace di stare in carcere, e allora lo trasferisci, poniamo, in ospedale, ma se ci può stare deve stare al regime previsto per le azioni che ha fatto. Non è una tortura, non è degradante.

Musolino:

Sul nuovo 416 ter. Il Senato intendeva punire anche la messa a disposizione, sintagma che ripete alcune pronunce che definiscono la partecipazione; la scelta finale è stata diversa, si è colpito il mero scambio voti-altra utilità. Il concetto era troppo vago, e troppo lieve, avrebbe imposto indagini su chiunque. Meglio che alla fine sia stato lasciato fuori. La norma finale è stata buona, ma c’era un pericoloso inciso “mediante le modalità di cui al terzo comma del 416 bis”. E’ necessario provare l’utilizzo dell’intimidazione nella raccolta del voto?

La Cassazione Antinoro pretende una caratterizzazione mafiosa nel procacciamento del voto. Dispone l’annullamento con rinvio della condanna dell’Onorevole siciliano.
La Cassazione Polizzi al contrario esclude che l’oggetto del patto coinvolga anche il metodo. Perché i metodi dei mafiosi sono noti, tipici, anche per prendere voti se ne serviranno se necessario!
C’è un contrasto dunque, urge l’intervento delle Sezioni Unite (ma la seconda interpretazione sembra l’unica ragionevole).

La figura dell’imprenditore: da classica vittima (cfr. sentenza Cavalieri del Lavoro, Catania, assolti per aver stipulato un “contratto di protezione”) è divenuto sempre più un complice, un colluso.
Se un imprenditore lombardo si mette in casa come guardianìa determinate soggetti, che poi a poco a poco si mangiano l’azienda è vittima? O è ben disposto a “subire” ciò perché sa che avrà i suoi benefici?

Allo stesso modo sono labilissimi a volte i confini tra testimoni e imputati, uno può passare facilmente da vittima di concussione a complice di corruzione! E’ un tema fondamentale, incasellare la realtà non è semplice.

Auto-riciclaggio: Commissione Finanza aveva licenziato un testo ottimo, redatto da Francesco Greco, pm. Il Governo l’ha sostituito con una schifezza.
Si puniscono sia l’auto-riciclaggio (da parte di chi ha commesso il reato) sia l’auto-impiego (chi commette il reato presupposto impiega il provento del reato). Il problema è che si sanzionano beni giuridici diversi! Non possono stare insieme. Non solo, c’è la non punibilità in caso di godimento personale, scelta davvero opinabile. Vedi Giuseppe Cascini, D.D.A. Roma, su Questione Giustizia.

Su questi temi si fronteggiano la drammatica solitudine del giudice e la schiena dritta dell’avvocato. Confronto alto, appassionante, dovremmo impegnarci in questo senso.