Condividi questo contenuto

Dopo la recente destinazione di 44 immobili al Comune il tema dei beni confiscati a Genova è sempre più d’attualità

In una passeggiata per i carruggi del centro storico di Genova può capire di imbattersi in delle saracinesche dipinte. Sopra il disegno delle scritte reciteranno che “Un bene confiscato cambia il volto alla città”, “v’illuminerà”, “apre alla bellezza”, “smuove le acque”, “è spazio per le idee” e se le si visiterà tutte seguendo il percorso suggerito da ognuna di esse si potrà scoprire che un bene confiscato può essere e può fare moltissime altre cose. Potrà capitare anche di trovare delle scolaresche intente a seguire l’intricato percorso: è un’attività che portiamo avanti da anni con passione come Libera Genova. Ma quali sono quindi i beni confiscati a Genova?

Facciamo un passo indietro: l’idea di confisca i beni patrimoniali alla criminalità organizzata fu di Pio La Torre, che nel 1982 pagò con la vita la sua intuizione e il suo coraggio nel portarla avanti. La Legge Rognoni-La Torre, approvata poco dopo, diede vita al 416 bis e, tra le altre cose, anche al sequestro preventivo e eventualmente la successiva confisca dei beni, togliendo alle mafie spesso il loro potere più prezioso. Ma come vengono utilizzati poi dallo Stato? Nel 1996 una seconda legge di iniziativa popolare, promossa dalla nascente Libera, risolve il problema promuovendone il riutilizzo a finalità sociale. 

Oggi la legge 109/1996 e altri leggi derivanti da questa prevedono che il bene, mobile, immobile o azienda, una volta confiscato, sia gestito da un ente statale dipendente dal Ministero dell’Interno, l’Agenzia per i Beni Sequestrati e Confiscati (ANBSC); per ogni confisca l’Agenzia assegna un coadiutore che la amministra e, insieme alla Prefettura tramite un tavolo apposito, il Nucleo di Supporto, cerca di avviare un percorso di riutilizzo del bene. Le strade possibili sono tre: riutilizzo a fini istituzionali da parte dello Stato, destinazione agli Enti Locali (di solito Comuni, a volte Regioni) oppure la vendita a privati. Quest’ultima strada, che è sempre stata possibile, era però un’extrema ratio qualora le prime due possibilità non fossero percorribili; il decreto sicurezza l’ha invece recentemente resa più agevole (facendo sorgere dubbi nella nostra organizzazione riguardo l’opportunità di farlo e sull’efficacia dei controlli necessari; il rischio è infatti che possano ripresentarsi tramite prestanome i precedenti proprietari).

Se il bene è destinato agli Enti Locali, questi possono utilizzarlo per finalità sociali o istituzionali direttamente, oppure indire dei bandi pubblici per finalità sociali. È così che sono nate le tante realtà di riutilizzo sociale come le celebri cooperative di Libera Terra dove vengono organizzati i campi di E!statiLiberi ogni estate. Il riutilizzo sociale sempre più spesso si è tramutato da vago sogno a tangibile realtà (anche commestibile, nel caso dei prodotti di Libera Terra): simboli delle mafie sconfitte, presidi di cultura della legalità, buone pratiche e lavoro pulito.

Per il racconto di questi beni esistono alcuni portali: la sezione beni confiscati di mafieinliguria.it per quanto riguarda la Liguria (https://mafieinliguria.it/beni-confiscati/), a cura dell’Osservatorio Boris Giuliano, progetto di Libera Liguria, e ConfiscatiBene 2.0 per l’Italia (https://www.confiscatibene.it), progetto di Libera nazionale, OnData e Fondazione Tim.

A Genova la confisca più consistente è quella ai Canfarotta: 96 beni a Genova, 69 in centro storico, quasi tutti nel già problematico quartiere della Maddalena. 

I Canfarotta affittavano da prima degli anni ‘80 a prostitute e a migranti i loro numerosi appartamenti fatiscenti, a prezzi decisamente troppo alti. Confiscati in via definitiva nel 2014, la gestione degli immobili rivela subito grandi problemi: danni strutturali, occupazioni abusive, debiti non pagati, e non ultimo contratti d’affitto stabiliti dal Tribunale di Genova agli inquilini (prostitute comprese) mai revocati.

Proprio per porre l’attenzione su questa confisca tanto grande quanto troppo spesso trascurata, la rete delle associazioni del centro storico del Cantiere per la Legalità Responsabile, con anche l’aiuto di Libera, decise di dipingere le saracinesche di molti di questi bassi confiscati.

Nel 2017 il Comune di Genova acquisì 11 immobili e in 2 di questi tramite bando pubblico sono nate l’aula studio di Vico Vigne 10r, gestita dall’Associazione Pas à pas, che crede nelle lingue come strumento di integrazione e organizza corsi di italiano per stranieri, e la bottega Mani d’Oro di Via Canneto il Curto 25r (proprio dove sorgeva l’immobiliare di copertura del vecchio Canfarotta), gestita oggi dalla Parrocchia delle Vigne, dove vengono venduti i prodotti ottenuti con materiali di scarto da un mite artigiano con un passato difficile alle spalle, ospite della parrocchia.

Nel 2019 un’inchiesta del Fatto Quotidiano ripresa da Le Iene scopre l’affaire della prostitute in affitto allo Stato, in seguito alla quale Agenzia e Comune di Genova accelerano il processo di riassegnazione. Per farlo sperimentano una nuova procedura nei rapporti tra Agenzia e Enti Locali: il Comune di Genova infatti indice nella tarda primavera del 2019 un bando pubblico sugli 81 beni ancora gestiti dall’Agenzia, prima di averli acquisiti: avrebbe acquisito quindi solo gli immobili per i quali fossero pervenute risposte al bando. La sperimentazione sta nel fatto che in questi casi ill bando viene fatto dopo la destinazione dei beni dall’Agenzia Nazionale al Comune, e non prima come strumento per scegliere quali beni richiedere e quali no.

L’operazione ha portato alla riassegnazione sulla carta di 44 immobili, la cui destinazione al Comune è stata votata dal consiglio comunale il 15 ottobre: 36 appartamenti, 8  bassi. Svariate le attività di riutilizzo previste: una ciclofficina per riparare biciclette, una stazione di web radio, social housing, emergenza abitativa, un albergo diffuso sociale, un alloggio temporaneo per padri separati, una biblioteca, usi istituzionali degli organi di decentramento, magazzini. 9 sono i soggetti gestori, associazioni e cooperative sociali, molti di queste a capo di cordate che coinvolgono molte altre realtà. 

Nel centro storico altri beni il cui percorso di assegnazione ha avuto sviluppi in tempi recenti sono quelli confiscati a Rosario Caci, boss del clan Piddu Madonia di Cosa Nostra che controllava parte dello spaccio in centro storico.

I locali di Vico delle Mele 14r, già sede della bottega e poi spazio associativo di Insciästradda, terminata la concessione alla Cooperativa Il Pane e le Rose, sono stati nuovamente messi a bando dal Comune di Genova e riassegnati, a inizio anno, all’Associazione Orizzonti, che ha inaugurato la gestione lo scorso mese. L’associazione, nata in un Centro di Salute Mentale di Genova, è decisa a continuare la sua attività di laboratorio e assistenza ai pazienti fuori dalle mura delle strutture sanitarie, coinvolgendo il più possibile la popolazione e la città. Attiverà anche uno Sportello per le malattie mentali proprio in Vico Mele. 

In Valbisagno invece protagonista delle attività criminali è tra gli altri il clan dei 3 fratelli Fiandaca, sempre legato a Cosa Nostra (che subiscono un’altra confisca di immobili degli anni ‘90). Nato genovese ma che negli anni è riuscito a guadagnarsi la stretta fiducia nella cosca dei Fiandaca è Roberto “Chicco” Sechi, che nel 2012 subisce la confisca delle sue attività: le due creperie “Chicco” di Via Caffa e di Corso de Stefanis. Queste sono state gestite dall’Agenzia nazionale fino al 2018, anno in cui la Dia scopre che Sechi continuava a gestirle con dei prestanome ai quali l’Agenzia si era affidata. Alla scoperta fa seguito il ri-sequestro delle due creperie e il sequestro di nuove attività che il Sechi aveva aperto dopo il 2012, tra cui il punto scommesse GoldBet in Via Casaregis. Il processo è in corso e la maggior parte delle attività sono state liquidate. (per approfondire: https://mafieinliguria.it/chicco-la-parabola-criminale-di-roberto-sechi/ )

Spostandoci in Valpolcevera, è la famiglia a capo di Antonino Lo Iacono a organizzare gli affari per Cosa Nostra: epicentro dell’attività è la zona di Campomorone. Nel 2013 vengono confiscati diversi fabbricati e terreni nella zona: l’unico riassegnato per ora è un terreno nel centro di Campomorone, adibito dal Comune di Campomorone a palestra all’aperto di calisthenics. (per approfondire: https://mafieinliguria.it/mafia-e-confische-in-valpolcevera-la-vicenda-di-antonino-lo-iacono/)

Infine, le recenti vicende giudiziarie nel Tigullio legate al processo cosiddetto de I conti di Lavagna hanno portato alla confisca in primo grado di diversi beni immobili, che dovranno essere monitorati per garantirne il riutilizzo sociale più felice possibile. 

La provincia di Genova a oggi conta 123 cespiti catastali di beni immobili in gestione all’Agenzia nazionale, e 76 cespiti destinati (allo Stato, agli enti locali o alla vendita). Numeri distanti da quelli di Roma o Milano o delle città del Meridione, ma che comunque fanno sì che l’argomento non sia più marginale come in passato nel capoluogo ligure. 

Le saracinesche del centro storico iniziano a parlare a sempre più persone. 

 

(riadattamento di un articolo realizzato per ConfiscatiBene 2.0)