La Liguria è terra di ‘ndrangheta, ancora una volta.
Venerdì 7 giugno, poco dopo le 12, è arrivata l’attesa decisione con la quale il Collegio della seconda sezione del Tribunale di Genova (Presidente dott. Merlo, giudici a latere dott.ssa Parentini e dott.ssa Carta) ha condannato gran parte degli imputati del processo “i Conti di Lavagna”, relativo alle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella cittadina del Tigullio ed ai rapporti tra la predetta locale e gli esponenti dell’amministrazione comunale di allora.
Per la prima volta, nella storia giudiziaria ligure, non sono stati colpiti solo i mafiosi di origine calabrese (come accaduto in Maglio 3 e nella Svolta), ma anche i politici nostrani, ritenuti colpevoli (in primo grado) di aver accettato pacchetti di voti in cambio di favori economici alle cosche. Le pene irrogate nei confronti degli amministratori locali, apparentemente modeste, sono dovute al fatto che non è stato possibile contestare a tali imputati il “nuovo” 416 ter cp, come novellato nel 2014, poiché le condotte erano precedenti alla riforma che ha riscritto e inasprito lo scambio elettorale politico-mafioso. Si è dovuto ricorrere, pertanto, ad un’altra fattispecie incriminatrice, la corruzione elettorale, molto risalente; ma il tema della condanna rimane: a Lavagna la ‘ndrangheta aveva infiltrato e condizionato le Istituzioni.
L’indagine nasceva quale costola del più risalente e tormentato processo “Maglio 3” (che individuava quattro locali: Ventimiglia, Genova, Lavagna e Sarzana) e aveva condotto in carcere, il 20 giugno 2016, i presunti componenti della locale di ‘ndrangheta di Lavagna. Erano finiti agli arresti domiciliari alcuni esponenti di spicco della realtà amministrativa e politica del Comune, immediatamente commissariato per le dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali e infine sciolto nel 2017 con decreto del Presidente della Repubblica per condizionamento mafioso.
Oggi, dopo quasi tre anni dal blitz dello SCO e della Squadra Mobile della Questura di Genova, sono arrivate pesanti condanne ad accertare il patto elettorale tra la famiglia Nucera-Rodà, originaria di Condofuri (RC), e coloro che, in occasione delle elezioni amministrative del 2014, divennero i vertici dell’amministrazione comunale.
Molteplici i reati contestati, ed oggi ritenuti provati, quali la gestione dei rifiuti, il traffico di armi, il traffico di sostanze stupefacenti, la gestione di attività economiche e commerciali, episodi di usura ed estorsione, ma soprattutto le corruzioni elettorali (cd. voto di scambio “light”) con gli allora candidati alle elezioni, poi effettivamente eletti, cui seguirono – quale controprestazione in ottemperanza al patto elettorale stipulato con il gruppo criminale – diverse ipotesi di abuso d’ufficio, aggravate dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta.
In attesa di conoscere le motivazioni della decisione, che provvederemo ad analizzare come di consueto, ecco nel dettaglio l’articolato verdetto dei Giudici genovesi, che hanno sostanzialmente accolto tutte le richieste della DDA di Genova.
Vengono condannati, in quanto membri della locale di ‘ndrangheta di Lavagna:
- Nucera Paolo, ritenuto responsabile dei reati di associazione mafiosa (in qualità di capo della locale di Lavagna, poiché organizzava e dirigeva il sodalizio, assumendo le decisioni più rilevanti, impartendo le disposizioni e comminando sanzioni agli altri associati, curando i rapporti con le altre articolazioni dell’associazione criminale, con i politici e gli amministratori pubblici di Lavagna, dirimendo contrasti interni ed esterni al sodalizio e custodendo le armi in dotazione allo stesso), detenzione ed occultamento illegale di armi aggravato dall’agevolazione mafiosa, traffico illecito di rifiuti e corruzione elettorale aggravata dell’agevolazione mafiosa, alla pena di anni 16 e mesi 6 di reclusione;
- Rodà Francesco Antonio, ritenuto responsabile dei reati di associazione mafiosa (in qualità di rappresentante e referente della locale di Lavagna, poiché manteneva e curava i rapporti con gli esponenti dell’organizzazione sedenti in Calabria della cosca Rodà-Casile e con i detenuti e i loro familiari, assumendo il ruolo di capo del sodalizio dopo l’arresto di Paolo Nucera avvenuto nell’ambito dell’operazione “Maglio 3”, coordinando le attività criminali dell’associazione nel recupero crediti e nel reinvestimento del denaro di illecita provenienza in attività economiche), esercizio abusivo di attività finanziaria aggravato dall’agevolazione mafiosa, usura aggravata dal metodo mafioso, detenzione ed occultamento illegale di armi aggravato dall’agevolazione mafiosa, estorsione aggravata dal metodo mafioso e detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, alla pena di anni 15 e mesi 8 di reclusione;
- Nucera Antonio, ritenuto responsabile dei reati di associazione mafiosa (in qualità di partecipe, in particolare gestendo per conto dell’associazione l’attività di stoccaggio e trasporto dei rifiuti dell’EcoCentro sito in Madonna della Neve), detenzione ed occultamento illegale di armi aggravato dall’agevolazione mafiosa, traffico illecito di rifiuti, truffa ai danni di ente pubblico, alla pena di anni 13 e mesi 6 di reclusione. Viene invece assolto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato dall’imputazione di falso ideologico in atto pubblico;
- Nucera Francesco, ritenuto responsabile dei reati di associazione mafiosa (in qualità di partecipe, in particolare gestendo per conto dell’associazione l’attività di stoccaggio e trasporto dei rifiuti dell’EcoCentro sito in Madonna della Neve e custodendo presso la sua abitazione le armi in dotazione al sodalizio), detenzione ed occultamento illegale di armi aggravato dall’agevolazione mafiosa, traffico illecito di rifiuti, truffa ai danni di ente pubblico, alla pena di anni 9 e mesi 6 di reclusione. Viene invece assolto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato dall’imputazione di falso ideologico in atto pubblico.
Viene quindi ricostruita la rete di soggetti che, pur non facendo parte della locale di ‘ndrangheta, a vario titolo operavano con il fine di agevolarla. Vengono quindi condannati:
- Nucera Giovanni, figlio di Paolo, ritenuto responsabile dei reati di traffico illecito di rifiuti e truffa ai danni di ente pubblico, alla pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione. Viene invece assolto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato dall’imputazione di falso ideologico in atto pubblico e viene dichiarato non doversi procedere, disapplicata l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, per il reato di esercizio abusivo dell’attività di gioco e scommessa, estinto per prescrizione;
- Nucera Giovanni, figlio di Antonio, ritenuto responsabile del reato si detenzione ed occultamento illegale di armi aggravato dall’agevolazione mafiosa, alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 2000 di multa;
- Paltrinieri Paolo, uomo di fiducia dei Nucera-Rodà, ritenuto responsabile dei reati di esercizio abusivo attività finanziaria aggravato dall’agevolazione mafiosa ed usura aggravata dal metodo mafioso, alla pena di anni 6 di reclusione ed euro 10100 di multa. Viene invece assolto per non aver commesso il fatto per il reato di associazione mafiosa (come peraltro chiesto dalla stessa pubblica accusa), perché il fatto non sussiste per i reati di intestazione fittizia di beni aggravata dall’agevolazione mafiosa e di estorsione aggravata dal metodo mafioso, nonché dichiarato non doversi procedere per il reato di esercizio abusivo dell’attività di gioco e scommessa in quanto, disapplicata l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, il reato estinto per prescrizione;
- Pinasco Ivana, moglie di Paolo Nucera, ritenuta responsabile dei reati di traffico illecito di rifiuti e truffa ai danni di ente pubblico, alla pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione. Viene invece assolta perché il fatto non è previsto dalla legge come reato dall’imputazione di falso ideologico in atto pubblico;
- Arco Massimiliano, esecutore materiale del trasporto e dell’occultamento delle armi in dotazione al sodalizio, ritenuto responsabile del reato di detenzione ed occultamento illegale di armi aggravata dall’agevolazione mafiosa, alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 2000 di multa;
- Calderone Natale, proprietario del terreno ove venivano custodite le armi in dotazione al sodalizio, ritenuto responsabile del reato di detenzione ed occultamento illegale di armi aggravata dall’agevolazione mafiosa, alla pena di anni 2 e mesi 10 di reclusione ed euro 2100 di multa;
- Mandato Ettore, ritenuto responsabile del reato di corruzione elettorale aggravata dall’agevolazione mafiosa (per aver procurato, in concorso con altri, circa 500 preferenze elettorali alla lista del candidato sindaco Giuseppe Sanguineti, accettando la promessa di mantenere la gestione del “Bar Ostigoni”, struttura abusiva), alla pena di mesi 6 di reclusione ed euro 3500 di multa;
- Remilli Alfred, ritenuto responsabile del reato di detenzione e traffico di sostanze stupefacenti per un corrispettivo complessivo pari a circa 560’000 euro, alla pena di anni 8 di reclusione ed euro 30000 di multa.
Per quanto riguarda gli esponenti politici, vengono condannati:
- Mondello Gabriella, già deputata in quota UDC nonché già primo cittadino del Comune di Lavagna, ritenuta responsabile del reato di corruzione elettorale aggravata dall’agevolazione mafiosa (per aver procurato, in concorso con altri, circa 500 preferenze elettorali alla lista del candidato sindaco Giuseppe Sanguineti), alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione ed euro 600 di multa e alla sospensione dai pubblici uffici per 1 anno e dal diritto elettorale per anni 1 e mesi 6. Viene invece assolta perché il fatto non sussiste per i reati di traffico di influenze illecite (come peraltro chiesto dalla pubblica accusa) e dal reato di abuso d’ufficio aggravato dell’agevolazione mafiosa;
- Sanguineti Giuseppe, in allora sindaco del Comune di Lavagna, ritenuto responsabile dei reati di corruzione elettorale aggravata dall’agevolazione mafiosa e abuso d’ufficio aggravato dall’agevolazione mafiosa (in particolare per non avere acquisito al demanio o per non aver demolito la struttura abusiva “Bar Ostigoni” di proprietà di Ettore Mandato, evitando così di dare esecuzione a quanto stabilito da una sentenza del Consiglio di Stato), alla pena di anni 2 di reclusione e alla sospensione dai pubblici uffici per 1 anno e dal diritto elettorale per 5 anni.
Vengono invece assolti Talerico Massimo (in allora Assessore del Comune di Lavagna, imputato per corruzione elettorale aggravata e abuso d’ufficio aggravato), Manglaviti Daniela (imputata per intestazione fittizia di beni aggravata), Bonicelli Pietro (responsabile dell’ufficio SUAP del Comune di Lavagna, imputato per abuso d’ufficio aggravato), Cella Lorella (dirigente del Comune di Lavagna, imputata per abuso d’ufficio), Gentile Franco (titolare di una concessione sul lungomare di Lavagna, imputato per corruzione elettorale aggravata).
Per Barbieri Luigi, in allora vice Sindaco del Comune di Lavagna, imputato per abuso d’ufficio aggravato dall’agevolazione mafiosa, il Collegio ha dichiarato la nullità del capo d’imputazione e ha disposto la restituzione degli atti al PM.
Quanto alle confische, vengono disposte in ordine all’azienda Autotrasporti Nucera e alla stazione di trasbordo rifiuti sita in Madonna della Neve. Vengono altresì confiscati tre locali commerciali, due magazzini, quattro appartamenti, due box, due auto e quattro conti correnti di proprietà di Rodà Francesco Antonio e un appartamento, cinque conti correnti e quote societarie di proprietà di Paolo Paltrinieri.
Viene infine riconosciuta una provvisionale immediatamente esecutiva dell’importo di euro 700’000 al Comune di Lavagna e di euro 300’0000 alla Regione Liguria, entrambe costituite parte civile.