Il 6 Ottobre 2012 il Gup di Torino Scarabello, nell’ambito del processo piemontese “Albachiara“, assolve tutti gli imputati: l’accusa (art. 416-bis) non regge, perché la cellula mafiosa non aveva ancora iniziato a commettere delitti-fine, bensì costituiva un tipico esempio di mafia silente.
Un anno dopo, il 10 Dicembre 2013, la Corte d’Appello di Torino riforma la sentenza di I grado, condannando tutti gli imputati, e nel 2015 la Corte di Cassazione conferma tali condanne: è una sentenza storica perché la giurisprudenza di merito ammette che l’apertura di un “concessionario” di mafia in una località del Nord sia sufficiente [..] a giustificare l’applicazione del 416 bis [..].
Nel frattempo, a pochi passi da Torino, a Genova si celebra un processo (Maglio 3) per molti versi analogo al procedimento piemontese (anzi, inizialmente l’indagine era stata unitaria, tant’è che i soggetti condannati in Albachiara erano soliti frequentare gli imputati “liguri”, di cui erano amici!).
In I grado il Gup genovese Carpanini, poco tempo dopo il suo alter-ego di Torino (9 Novembre 2012) emette una analoga sentenza di assoluzione per i 10 imputati, accusati a loro volta di costituire una cellula mafiosa – radicata in più zone della Liguria – che anche in questo caso, tuttavia, non avrebbe ancora iniziato ad operare.
E nel Febbraio 2016 la Corte D’Appello di Genova conferma la sentenza di assoluzione, nonostante nemmeno un anno prima (nel Luglio 2015) fossero state depositate le motivazioni della Corte di Cassazione nel processo Albachiara, le quali confermavano e promuovano un orientamento giurisprudenziale differente da quello seguito dai Gup.
Dati alla mano, la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Genova (della quale, tra l’altro, mancano ancora le motivazioni*) è difficile da comprendere; nemmeno il Dottor. Michele di Lecce, già procuratore capo di Genova, sembra sapersele spiegare…