Mercoledì 13 luglio si è tenuta la requisitoria del pm Lari, nello stralcio del procedimento “Maglio 3”, che vede come unico imputato Paolo Nucera, ritenuto promotore e organizzatore del sodalizio ‘ndranghetista (capo del locale di Lavagna).
Come noto, altri 10 soggetti sono già stati processati in rito abbreviato: tutti assolti, in primo e secondo grado, con due sentenze che hanno fatto discutere.
Il pm ha subito riconosciuto con realismo due problemi fondamentali: 1) il Tribunale del Riesame ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare (che aveva colpito Nucera nel lontano 2011) sotto il profilo dei “gravi indizi di colpevolezza” (ritenuti insussistenti); 2) l’intervenuta assoluzione, già in appello, per i coimputati ( con la cd. “doppia conforme”) influisce necessariamente sulla valutazione dei giudici.
E’ anche vero, però, che Paolo Nucera è appena stato riarrestato: non si tratta di omonimia, al contrario egli è tuttora considerato dalla D.D.A. genovese il n. 1 del sodalizio mafioso operante in Lavagna, dedito al traffico illecito di rifiuti, alla gestione di attività commerciali e con forti legami con la politica.
Non è possibile, tuttavia utilizzare il nuovo materiale probatorio nel presente procedimento: il Collegio ha deliberatamente ignorato i più recenti sviluppi investigativi, forse per evitare di appesantire il proprio fascicolo, ad un passo dal traguardo.
Ad avviso del pm, il giudizio del Riesame era figlio di valutazioni fattuali scorrette: non è stata compresa la centralità della riunione del 16 marzo a Lavagna, all’hotel Ambra (di Nucera). Il ruolo del presunto boss non era ben delineato, ma “leggendo le conversazioni preparative dell’incontro, si capisce perfettamente che tutti i principali esponenti delle ‘ndrine liguri stavano andando da Nucera! Non a fare una cena, ma una riunione di ‘ndrangheta”.
Ci sono foto che dimostrano “saluti, baci e abbracci prima e dopo l’incontro”, nei pressi dell’hotel. I vari soggetti commentano a lungo l’incontro: Picozzu (Domenico Belcastro, già condannato per 416-bis) si impantana nelle formule, mentre chi le sa bene è Compare Michele (Ciricosta n.d.r., presso il quale, in occasione dell’arresto, sono state trovare formule di ‘ndrangheta in un quadernino).
Ci sono vari elementi, magari generici, ma senz’altro univoci, per dimostrare che Nucera Paolo è persona inserita in un contesto ‘ndranghetista.
Il collaboratore di giustizia Gullà, le cui dichiarazioni sono state acquisite, aveva fatto riferimenti precisi, parlò di cose che hanno avuto riscontri.
Di sicuro contegno ‘ndranghetista si rivela, poi, la vicenda del funerale di Pietro Anastasio. E’ noto che tali eventi rappresentino, per gli affiliati, occasione di incontro/discussione. Nel caso di specie, Nucera si recò al funerale nonostante la contrarietà del grande capo Gangemi: “Tutti noi siamo liberi di andare al funerale di chi vogliamo, Paolino Nucera no!”, tuona il pm. Per descrivere la vicenda, alcuni degli imputati, intercettati, parlavano della “trascuranza” di Lavagna, termine squisitamente di ‘ndrangheta (alias dispetto, sgarro…)!
In queste occasioni, si verificano triangolazioni di chiamate straordinarie, da Alessandria a Genova, da La Spezia a Lavagna, sino a Ventimiglia, tra persone non imparentate! E’ evidente, secondo l’accusa, che i partecipanti a questi eventi condividano un vincolo di altro tipo, precipuamente associativo.
E’ dimostrato anche un incontro del Nucera con Bruno Francesco Pronestì (e Domenico Persico, entrambi già condannati in via definitiva per 416 bis quali esponenti del locale del Basso Piemonte). Il primo, nel corso del processo torinese, confessò esplicitamente la propria militanza, ipotizzando un “distacco”! Nello stesso giorno, è documentato che i “piemontesi” si recano a Genova, all’ortofrutta Gangemi, e a Lucca, da un tal Mastroianni.
“Qualcosa significa? Partono da Alessandria e fanno questo lungo viaggio, per parlare non più di 10 minuti/un quarto d’ora con ciascuno dei propri sodali! E’ una condotta anomala! Io in 53 anni non ho mai fatto tanti km per parlare 15 minuti con qualcuno!”.
Ma ci sono altri episodi che meritano di essere annoverati: si è documentato per esempio che Raffaele D’Agostino è andato in visita da Paolo Nucera, per trovare voti per Aldo Praticò (candidato alle Regionali, nel 2010); la Corte d’Appello ha scritto che la conversazione non era comprensibile, ma non è vero! Ripetono più volte che D’Agostino è andato da Nucera…
Nelle intercettazioni del processo La Svolta, ancora, Marcianò Giuseppe, (già condannato in Appello quale capo-locale di Ventimiglia), colloquia con D’Agostino Arcangelo: “Paolo di Lavagna gli ha consigliato di mantenere un basso profilo, gli ha mandato un’ambasciata”. Lessico spiccatamente ‘ndranghetista. Quando poi tal D’Agostino muore, Marcianò dice di dover avvertire “Compare Paolo Nucera”.
Il pm sottolinea un altro dato significativo: in tutte e due le sentenze “Maglio 3” viene dato per scontato che esistano persone ‘ndranghetiste nel nostro territorio (soprattutto in quella di primo grado); non si negano affatto i rapporti tra locali liguri e la “Mamma”; il ruolo di Gangemi è chiarissimo (già condannato a 19 anni e 6 mesi nell’ambito del processo “Crimine”); ci sono le riunioni segrete.
C’è, poi, il rapporto con la politica. E’ chiarissimo che i candidati si impegnano a garantire contropartite, favori, in cambio del sostegno elettorale, a pena di essere “presi per un orecchio”. Non è solo la comunità calabrese che si attiva per sostenere i propri compaesani, c’è eccome un clima di intimidazione!
Il leitmotiv di tali pronunce è, però, che “non c’è estrinsecazione del metodo mafioso”: si tratterebbe di una ‘ndrangheta innocua, insomma.
Ad ogni modo, accertato che a Lavagna si fece un summit di ‘ndrangheta, si chiede il pm: “Cosa devo dimostrare per dire che un locale attivo configura il reato di cui all’art. 416 bis?”.
La norma stessa ci dice, proprio a titolo esemplificativo, che la ‘ndrangheta è un’associazione mafiosa (art. 416 bis, come novellato nel 2010)! Sul punto, la famosa sentenza Albachiara è chiarissima.
Il pm ribadisce: si può dire tutto, ma non che in quel processo “ci fosse di più” rispetto a quello di Genova. Il materiale probatorio era del tutto simile: emerse che quei soggetti erano collegati con la Calabria, avevano i locali nel basso Piemonte (Novi, Alba, Asti). Nient’altro!
Le condotte dei vari imputati, ritenuti colpevoli di associazione mafiosa, si sostanziano nella partecipazione a riunioni, nel rispetto rigoroso delle regole del sodalizio… ci sono i riti di affiliazione, i rituali, le formule; la struttura verticistica dell’organizzazione, la distribuzione di cariche, dette “fiori” (trequartino, vangelo, puntaiolo, mastro di giornata…).
Tutto come nel nostro procedimento! Come Mimmo Gangemi (genovese), così Rocco Zangrà (piemontese), si recano a Rosarno per incontrare don Micu Oppedisano, per discutere di tematiche associative. Il primo per rappresentargli le attività svolte in Liguria dal gruppo ‘ndranghetista, il secondo per discutere dell’apertura del nuovo locale (si deciderà alla fine di creare le società maggiore/minore).
Non ci sono delitti fine, non c’è un clima di intimidazione. L’unico episodio citato nel processo Albachiara in tal senso è il lancio della sedia di Caridi a Belotti, in Consiglio Comunale: “Ma questo sarebbe indicativo della capacità di intimidazione?” si chiede il dott. Lari.
La riunione del 30 maggio di Bosco Marengo, a casa Pronestì, in cui nasce la società minore, è emblematica di un’attività, a prescindere dagli episodi di concreta minaccia/violenza sulla popolazione. “Altro che mafia silente!”. E c’erano anche i genovesi.
Ma soprattutto, come ha chiarito la Cassazione con quella sentenza, estremamente lineare, una volta dimostrato l’elemento organizzativo (cioè il locale, in forte collegamento con l’associazione-madre), la prova del metodo mafioso può dirsi implicitamente raggiunta; ricercare ossessivamente una prova dell’intimidazione non è necessario (sarebbe un “fuor d’opera”).
La Suprema Corte fa un distinguo sottile e fondamentale: bisogna differenziare le mafie storiche da quelle nuove! Se parliamo di ‘ndrangheta, mafia storica, è scontato ciò di cui si discute. E’ superfluo arrovellarsi sul metodo mafioso! E’ la mafia più potente del mondo! (Cass. 778/2015, Albachiara).
Incalza, Lari: “E’ anacronistico pensare che al Nord ci sia l’intimidazione diffusa. Se muoviamo da queste premesse, la ndrangheta al Nord non sarà mai dimostrata. Nemmeno al Sud, dopo 30 anni di omicidi, i testi si girano dall’altra parte. L’omertà diffusa è un parametro superato. La recente sentenza della Corte d’Appello di Genova non è concepibile nel 2016. Richiama, peraltro, per fondare il proprio convincimento, due sentenze che riguardano associazioni “nuove” di calabresi, che non hanno il collegamento con la Mamma (es. il caso di Perugia)! Lì sì che bisogna dimostrare tutto l’apparato strutturale-strumentale, trattandosi di mafia nuova”.
Il Presidente della Suprema Corte Santacroce, negando l’intervento delle Sezioni Unite (a cui era giunta la questione della “prova del metodo mafioso”) ha spiegato doviziosamente che il (presunto) conflitto interpretativo era solo apparente, proprio per questa diversità ontologica tra sodalizi legati alle mafie storiche e nuove organizzazioni “mafiose”. I criteri probatori debbono essere necessariamente diversi, come diverse sono le associazioni in questione.
L’altro aspetto davvero singolare è che i Tribunali di Reggio Calabria e di Locri, a fronte delle stesse intercettazioni, danno una valutazione del tutto differente – rispetto ai propri colleghi liguri – e riescono a fondare la penale responsabilità degli imputati (Gangemi e Belcastro soprattutto, due “genovesi”).
I magistrati calabresi, con assoluta semplicità, evidenziano le “lunghe dissertazioni sulla strutture, sulle regole, del tutto sovrapponibili a quelli della ‘ndrangheta tradizionale”. Sono dialoghi significativi (secondo loro): gli affiliati in Liguria amministrano gli affari in favore della terra d’origine, pur con una certa autonomia di manovra: “Noi con la Calabria tutta la massima collaborazione, tutto il massimo rispetto, siamo tutti una cosa, pare che la Liguria è ndranghetista”.
Analogamente, nel processo Infinito (sulla ‘ndrangheta in Lombardia) la Cassazione, VI sezione, ha confermato oltre 90 condanne, anche nei confronti di soggetti che non avevano in alcun modo estrinsecato il metodo mafioso!
Il punto centrale è il seguente, ad avviso del pm: “La prova del 416 bis non si rintraccia come per un omicidio. Stiamo parlando di un associazione segreta, occorre ricostruire un contesto, fatto di elementi molteplici. Ci vuole rigore logico nella valutazione degli elementi indiziari. Il reato è associativo e di pericolo; non di danno! Non c’è un evento in senso naturalistico”.
In conclusione, mettendo insieme i vari elementi, anche in assenza di reati fine, il dott. Lari ritiene dimostrata la partecipazione di Paolo Nucera all’associazione denominata ‘ndrangheta, in qualità di promotore (capo del locale di Lavagna), e chiede conseguentemente la pena di anni 12 di reclusione.