Il 21 maggio 2015 i carabinieri del Nucleo Operativo Provinciale di Savona concludevano l’operazione «Il ritorno», con un bilancio complessivo di dieci indagati e due persone arrestate. Tale inchiesta affonda le sue radici nell’estate del 2004, con il monitoraggio da parte del Nucleo Investigativo di alcuni imprenditori della provincia savonese accusati di gravitare attorno ad un giro di usurai. Le indagini avevano appunto permesso l’arresto di Carmelo Gullace e Giuseppe Cammisa, altri personaggi legati alla criminalità organizzata. Questa volta invece ai domiciliari sono finiti Antonio Fameli, di 77 anni, pluripregiudicato originario di S. Ferdinando (paese adiacente al Porto di Gioia Tauro) e Fabio Domenicale, di 46, entrambi residenti a Loano e destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Filippo Maffeo, su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica di Savona Ubaldo Pelosi.
Precedenti ricerche avevano collegato Fameli alla cosca di `ndrangheta dei Piromalli di Gioia Tauro: la D.I.A. ligure l’ha scritto esplicitamente, sin dal lontano 2002. V’è più di un sospetto che Egli sia stato, per anni, la testa di ponte dei Piromalli al Nord, con compiti molto precisi: investire nell’economia legale i massicci proventi dell’economia criminale. Si tratta di uomo, peraltro, che può vantare una condanna in primo e secondo grado per omicidio, poi annullata dalla Cassazione per vizi formali, da un Collegio in cui figurava il noto giudice Corrado Carnevale (l’ammazzasentenze, processato e infine assolto, con una sentenza molto discutibile, per concorso esterno in associazione mafiosa). Nel ponente ligure ha costruito, negli anni, un impero con apparente facilità, riuscendo a schivare iniziative giudiziarie multiple. In alcune mail, scambiate con il figlio Stefano, Egli “millanta” (nella migliore delle ipotesi) l’appoggio – addirittura – del dott. Scolastico, già vertice della Procura di Savona e ora Procuratore Aggiunto a Genova, con un’importante esperienza in D.D.A. Fameli scrive che in cambio di alcune informazioni su altri delinquenti, Egli avrebbe ricevuto la garanzia di una sorta di immunità.
Del 2012, però, si è stretto il cerchio intorno al vecchio manovale calabrese, divenuto palazzinaro facoltoso: accusato di numerosi capi di imputazione, subì il sequestro di 44 unità immobiliari, una sala giochi, quote societarie. Beni per 10 milioni di euro.
Gli inquirenti savonesi oggi gli contestano il trasferimento fraudolento di beni: in particolare si parla, per Fameli e Domenicale, di attribuzione fittizia di titolarità o disponibilità di somme di denaro e, solo per il primo, di omessa comunicazione – essendo sottoposto a misura di prevenzione patrimoniale – della disponibilità di denaro e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.
I carabinieri hanno scoperto infatti che i malavitosi ripulivano denaro sporco, proveniente da precedenti attività illegali, portando banconote rovinate da 500 euro alla Banca d’Italia, per farsele cambiare, fino a raggiungere attività di riciclaggio per un totale di 115.000 euro. Altri 13.000 euro sono stati sequestrati durante uno degli ultimi tentativi di effettuare il cambio. Tutti questi soldi venivano, alternativamente, investiti in operazioni immobiliari: è in questo modo che, secondo gli investigatori, sarebbe avvenuto, per esempio, l’acquisto del chiosco «Loa Beach» sul lungomare di Loano e di un complesso immobiliare della Riviera.
Le altre dieci persone, sottoposte anche a perquisizione e ad oggi in stato di libertà, sono state denunciate per aver aiutato Fameli ad assicurarsi il prodotto del reato, per esempio effettuando personalmente il cambio del denaro in Banca. Si trattava spesso di banconote rovinate poiché il boss era solito nasconderle nei tubi della piscina o sotto statue del cimitero.
Nel frattempo, sono stati confiscati tutti i beni finiti sotto sequestro preventivo già tre anni prima: 44 immobili tra terreni e abitazioni a Loano, Boissano e Borghetto S. Spirito, oltre alle quote in società estere. La misura, disposta dal tribunale di Savona e poi confermata nel giugno dello scorso anno dalla III Sezione della Corte d’Appello di Genova, era stata osteggiata dallo stesso Fameli, con l’assistenza degli avvocati Gian Maria Gandolfo e Maurizio Frizzi. Ma anche il successivo ricorso in Cassazione è stato respinto.
Proprio all’interno della villa di Loano di Antonio Fameli, ubicata al civico 271 dell’Aurelia, che aveva ospitato anche la casa da gioco Las Vegas, una vecchia poltrona, un mobiletto-sgabello e un lavandino sono andati a fuoco, giustappunto a pochi mesi dall’arresto del suo proprietario ed esattamente il 30 giugno scorso. Seppure le indagini siano tuttora in corso, il piccolo incendio è stato immediatamente letto, dai carabinieri e dai vigili del fuoco intervenuti, come un’azione dolosa. Il rogo sarebbe avvenuto nel cuore del pomeriggio mentre lo stesso Fameli stava effettuando un trasloco di mobili, autorizzato dal tribunale di Torino. Infatti, Fameli aveva ottenuto, dopo l’arresto, grazie ai ricorsi dei suoi avvocati, l’attenuazione della misura con gli arresti domiciliari. Così i giudici del Riesame avevano trasformato l’arresto nel divieto di lasciare Loano e nell’obbligo di restare in casa nelle ore serali e notturne.
Quindi, sebbene il faccendiere si fosse trasferito nel frattempo in un altro appartamento, la sua presenza all’interno della villa sarebbe stata legittima. «I giudici – precisa Antonio Fameli stesso – mi hanno dato l’autorizzazione ad effettuare il trasloco. La polizia municipale apre la porta alle otto del mattino e la richiude alle sette di sera. Gli agenti si portano via le chiavi, quindi né io né nessun altro possiamo serrare l’ingresso. La porta resta aperta durante tutte le operazioni di trasloco».
Secondo quanto accertato, i primi mobili a prendere fuoco sarebbero stati un mobiletto, mostrato poche ore prima ad alcuni acquirenti desiderosi di acquistarlo, e una poltrona, in realtà già venduta. Le fiamme hanno distrutto poi una vasca idromassaggio con sauna e bagno turco del valore di ottomila euro. Il tutto, favorito da alcuni fogli di giornale, sparpagliati sul pavimento proprio per preservarlo durante lo spostamento dei mobili. La carta, però, potrebbe anche essere stata utilizzata come innesco da una mano esterna. Le indagini da parte dei carabinieri proseguono e per il momento nessuna pista è esclusa, neppure l’ipotesi di un gesto vandalico fine a se stesso. Non viene tralasciata nemmeno l’ipotesi di un gesto voluto per distruggere o far sparire elementi e materiale nascosto e ritenuto compromettente. «Non mi hanno ancora saputo dire cosa abbia scatenato l’incendio. Certo è un fatto strano» ha chiosato, enigmaticamente, il boss di origini calabresi.