Mafieinliguria.it continua a raccontarvi le fasi salienti del grado di Appello de “La Svolta”, il processo che in primo grado ha riconosciuto, per la prima volta in via giudiziaria, l’esistenza della ‘ndrangheta nella nostra regione. Martedì 13 ottobre è toccato esporre le proprie conclusioni all’avvocato Alessandro Moroni, difensore dell’ex sindaco di Ventimiglia Gaetano Scullino e dell’ex city manager Marco Prestileo, entrambi assolti in primo grado dalle accuse di abuso d’ufficio aggravato e concorso esterno in 416-bis. Per loro, nell’udienza del 1° ottobre, il pubblico ministero Giovanni Arena aveva chiesto rispettivamente sei e sette anni di reclusione.
Alla difesa dei due “colletti bianchi” è stata dedicata l’intera udienza, protrattasi per quasi quattro ore. Moroni ha esposto con lucidità e fervore le proprie tesi, scendendo nei dettagli tecnici delle normative che si assumono violate, con l’obiettivo di sgretolare l’impianto accusatorio che pesa sui propri assistiti. L’avvocato ha voluto esordire riprendendo le parole che il pm Arena aveva usato nell’ultimo giorno della sua requisitoria, invitando il collegio ad analizzare gli elementi a sostegno dell’accusa nel loro complesso, così da poterli apprezzare meglio, come accade per un quadro impressionista. “Riflettevo sulla similitudine proposta dal pm” – ha esordito – “Un’immagine elegante e se vogliamo suggestiva, ma che nasconde un’implicita ammissione della fragilità dell’impostazione accusatoria per quanto riguarda i miei assistiti. Ignoro secondo quali criteri vadano apprezzati i quadri impressionisti; credo, comunque, siano parametri diversi da quelli stabiliti dal codice per la valutazione delle prove”. Moroni ha sottolineato – in modo graffiante – l’esigenza di verificare concretamente la sussistenza di indizi di colpevolezza in capo ai due imputati: “Indizi che debbono essere, come precisa il Codice, gravi (ovvero di per sé consistenti), precisi (cioè non equivoci) e concordanti (cioè, se verificati nel loro insieme, suscettibili di risolvere le ambiguità).” “Gli indizi” – ha affermato – “devono essere innanzitutto isolatamente considerati per valutarne il grado di gravità e di precisione, e solo in un secondo momento va posto lo sguardo d’insieme, per verificare la concordanza”. Moroni afferma, in questo senso, di avere apprezzato l’operato del collegio imperiese, redattore della sentenza di primo grado, pur non condividendo alcuni passaggi della sentenza stessa.
Secondo il pm, le violazioni di legge poste in essere nell’assegnazione degli appalti a Ventimiglia erano evidenti, macrospiche e particolarmente gravi, tali da non poter sfuggire ad amministratori esperti come Scullino e Prestileo. L’accusa, in particolare, ha valorizzato la testimonianza del Segretario Comunale Achille Maccapani, il quale aveva sostenuto, in udienza, di essere stato condizionato dalla leadership dei due. L’avvocato, invece, ha cercato di ridimensionare la portata di tale testimonianza: Maccapani avrebbe in effetti ammesso solo che Prestileo gli aveva chiesto di trovare il modo di realizzare quei lavori in modo economico e veloce, dunque con affidamento in via diretta. La violazione dell’art. 36 del Regolamento comunale, però, deporrebbe nel senso della consapevole responsabilità degli imputati. La principale contestazione concerne la presunta violazione dell’art. 5 della l. 381/1991, che recita: “Gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), ovvero con analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri della Comunità europea, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell’IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all’articolo 4, comma 1. Le convenzioni di cui al presente comma sono stipulate previo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza”. Il problema è che gli appalti in questione configuravano, a colpo d’occhio, lavori, non servizi.
Il Pm ha sostenuto che i due imputati avrebbero potuto (in caso di incertezza applicativa) rivolgersi all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici. Diversamente, l’Avv. Moroni ha eccepito: “L’AVCP è un’autorità di vigilanza, appunto, non di consulenza. Esegue un’attività di monitoraggio dell’amministrazione pubblica ed ogni tanto esprime delle direttive. Talvolta può anche esprimere consulenze, ma al di fuori di casi tassativi è addirittura inammissibile un’istanza di consulenza all’AVCP. Ma v’è di più. Nel 2012 l’AVCP scriveva: L’autorità ha condotto alcune indagini di settore sull’art. 5 di questa legge, dalle quali è emersa la necessità di fornire alle stazioni appaltanti chiarimenti in ordine all’applicazione di questa norma”. Ad avviso del Difensore, risulterebbe evidente, dunque, il contrasto interpretativo esistente su quella norma; non si potrebbe parlare, pertanto, di “errore evidente e grossolano”, come ha fatto il pm. Anzi, in giurisprudenza si sarebbe registrato – all’epoca dei fatti – un orientamento diverso a quello che sostiene il dott. Arena, conforme alla condotta assunta dagli imputati. Il dg Marco Prestileo sarebbe stato fortemente combattuto sulla questione, tanto è vero che partecipò a diversi convegni per informarsi compiutamente sull’argomento. “Io convengo con il Tribunale sul fatto che Maccapani non fosse un cuor di leone” – ha detto Moroni – “quando arrivarono i Carabinieri, nascose il parere che aveva fatto; quando gli venne sottoposto il medesimo parere, ne prese immediatamente le distanze. Ma Maccapani era, in realtà, uno studioso, che consegnò un lavoro frutto di un proprio approfondimento”.
Se davvero il Segretario Comunale fosse stato condizionato dalla leadership di Scullino e Prestileo, è la tesi dell’avvocato, sarebbe bastato scopiazzare gli orientamenti dottrinali prevalenti per formulare il parere in questione. E invece, dice, l’atteggiamento di Maccapani è quello dello studioso: aggiunge dati, riflessioni, opinioni. Nel frattempo sul tema è intervenuta una sentenza del Consiglio di Stato, che ha effettivamente convalidato la tesi sostenuta in questo procedimento dall’accusa; “Ma la eventuale grossolanità delle valutazioni” – fa notare Moroni – “dev’essere valutata con giudizio ex ante”, cioè ponendosi dal punto di vista dell’autore della valutazione nel momento storico in cui questa fu fatta.
L’argomento fu molto dibattuto all’interno del C.d.A.: il problema era se fosse possibile affidare dei “lavori” ad una cooperativa sociale. Con riferimento al Mercato coperto, infatti, Maccapani nella delibera citò l’art. 5 legge 381/1991 (e non, come avrebbe dovuto, l’art. 125 del Codice dei Contratti Pubblici). Ma per la Difesa, le norme in questione “si prestavano a varie interpretazioni: e Maccapani, che era uno studioso, aveva ritenuto di aderire, con suoi argomenti, a queste tesi, a cui gli altri si erano adeguati. Se guardiamo questo elemento dalla distanza giusta, le proposizioni del pm sono suggestive ma inconsistenti”.
In generale, afferma l’Avvocato, occorre riflettere sul fatto che l’Opposizione non si è mai lamentata di tali affidamenti, anzi era ben contenta che il Comune risparmiasse! “Giusto o sbagliato che fosse il sistema, era il modo per fare le cose presto, bene e al minor costo!”
Egli evoca una sorta di complotto: “La verità è che quando la Civitas ha approvato il proprio prezziario, Confidustria le si è scagliata contro, imbeccando l’articolo del Secolo XIX sulla Marvon, “La Cooperativa dei record”, da cui tutto è partito”.
Dopodiché si sofferma sull’eventuale un atteggiamento di favore di cui avrebbe goduto la Marvon. Il dott. Arena ha denunciato che si affidavano i lavori a Marvon, in via diretta, perché altrimenti non avrebbe mai vinto: in realtà in ben due occasioni Marvon vinse dei lavori (realtivi alla Fontana del Putto ed a Piazzetta V. Veneto) con procedura negoziata, dunque perché preferita ad altre cooperative concorrenti. “Evidentemente lavoravano bene! E si badi, si potevano pure fare in via diretta, perché erano lavori “sotto soglia” (circa 35.000,00 euro l’uno)”!
Il Comune, ad avviso del legale, operava scientificamente una rotazione delle cooperative: semplicemente, Marvon lavorava di più per il tramite della Civitas, mentre per esempio un’altra cooperativa, Nuova Intemelia, prendeva la maggior parte di lavori direttamente dal Comune.
L’Avv. Moroni tenta di smontare l’argomento della “coop dei record”: nel 2008 effettivamente Marvon prese lavori per 126 mila euro, più di chiunque altro; ma già nel 2009 Nuova Intemelia lavorò per ben 200.000 euro, mentre la Marvon si confermò sulle cifre dell’anno precedente. Dove sarebbe il boom? La Nuova Intemelia, peraltro, non ha mai lamentato di essere stata discriminata.
Successivamente, si sofferma su un altro aneddoto significativo: in occasione del lavoro relativo al marciapiede di Via Chiappori, Nuova Intemelia fece avere il preventivo a Civitas in anticipo, ben 18 giorni prima rispetto alla delibera dell’Ufficio Tecnico! Con un comportamento identico a quello che si rimprovera alla Marvon in questo procedimento e che dovrebbe dimostrare l’atteggiamento di favore di cui godeva presso il Comune.
Si trattata, dunque, del normale modus operandi adottato da tutte le cooperative, che consentiva di far risparmiare tempo! D’altronde vi era il prezzario Civitas come riferimento, alle cooperative bastava modellarsi su di esso.
Poi è la volta di Giancarlo Mannias, ex Presidente della Marvon, proprio dal 2008. Egli viene descritto dall’accusa come il soggetto principale di collegamento tra le cosche e l’amministrazione. “Purtroppo è mancato poco tempo fa, forse proprio a causa di questo procedimento, non ha retto…”; sussulta, a quel punto, il dott. Arena: “Veramente è morto prima che finissimo l’indagine, non ne ha mai avuta conoscenza”.
“Ah..” – prosegue l’Avv. Moroni, colto in fallo – “Comunque, era un uomo di paese, una brava persona che lavorava per le Autostrade e si dedicava alla politica. Chi l’ha detto che la Marvon era in mano agli ‘ndranghetisti? Si evincerebbe da una sola conversazione, tra due presunti mafiosi; ma lo stesso maresciallo Camplese ha negato di aver avuto mai sospetti su di essa. Ma vediamo, c’erano indizi in tal senso? Io mi sarei aspettato di vedere direttori dei lavori intimidi, lavori non finiti o mal eseguiti, varianti di prezzo in corso d’opera, materiali scadenti..questi sono i sintomi dell’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici. E invece siamo di fronte ad un’impresa corretta, che praticava prezzi bassi, eseguiva i lavori a regola d’arte.
E conclude, sul punto, attaccando il pm: “Ricapitolando: non era la coop dei record, come abbiamo dimostrato; non è vero che lavorava solo con affidamenti in via diretta; Mannias era una persona per bene accreditata ovunque; svolgeva un lavoro serio e proficuo per il Comune. Questa era la Marvon. Contrariamente a quanto ha detto il pm, io dico che questo presunto quadro impressionista lo guardiamo alla distanza giusta – la “distanza” prescritta dall’art. 192 c.p. che impone indizi gravi, precisi e concordanti – emerge il niente di niente, il vuoto pneumatico, un buco nero”.
In sintesi, sono tre i lavori che l’accusa ritiene affidati in modo irregolare:
–la copertura del Mercato Comunale: anche il Tribunale ha riconosciuto la violazione dell’art. 28, co. 2, d.p.r. 34/2000 (ma non dell’art. 5, l. 381/1991, come richiesto dal pm), perché il bene era caratterizzato da particolari vincoli in ragione dell’età. Sul punto, l’Avv. Moroni esclama: “Ma cosa c’entrano Scullino e Prestileo con la verifica in fase attuativa di tali requisiti!”.
–il rifacimento dei marciapiedi di Lungo Roja: per quanto riguarda la faccenda del preventivo “in anticipo”, si è visto come la Nuova Intemelia operasse in modo analogo; l’urgenza, secondo il legale, c’era eccome, perché era stato registrato un pericolo per l’incolumità dei pedoni, inoltre incombeva la Battaglia dei Fiori (ciò giustificava il ricorso all’affidamento diretto in luogo della procedura negoziata). Il legale esclude il dolo dell’abuso d’ufficio, ma la violazione dell’art. 5, in questo caso, è oggettiva.
–il rifacimento dei marciapiedi di Corso Genova: opera urgente anch’essa, ad avviso della Difesa, dal momento che si verificavano in media due infortuni all’anno; valgono considerazioni analoghe al caso di Lungo Roja.
Dopo aver preso posizione su tutto ciò che concerne il reato di abuso d’ufficio, il legale analizza il problema del concorso esterno (senza neppure nominarlo, come per allontanarlo più efficacemente…): anche il Pm, come si ricorderà, ha sempre negato l’esistenza di contatti diretti tra gli imputati e i presunti mafiosi.
Vi sono tuttavia diversi elementi, più o meno significativi, che lascerebbero presupporre un certo legame.
Per quanto concerne la posizione di Marco Prestileo, il pm ha ricordato che Egli fu il commercialista che curò l’atto costitutivo della Marvon. Gli elementi a suo carico deriverebbero da alcune intercettazioni: “E’ cresciuto con Lorenzino Acquarone” – dice Marcianò ad una donna – “L’ho portato io da Vallecrosia sino a qui”. Moroni contesta la prima circostanza, non vera, e afferma che “ce l’ha portato Scullino”, semmai, che l’aveva conosciuto nei Lions. Sarebbe un’evidente millanteria la conversazione.
Ancor più interessante è un altro passaggio. Occorre premettere che Peppino Marcianò ha una sorella disabile; in una conversazione il presunto boss racconta: “Ho incontrato Prestileo, ho chiesto se posso presentare una domanda in Comune per la legge 104” richiesta alla quale Prestileo avrebbe risposto, secondo il boss, “Presentala!”.
Per il pm, risulta evidente il rapporto privilegiato tra la famiglia Marcianò e l’Amminsitrazione; per l’Avv. Moroni, al contrario, la conversazione rifletterebbe una risposta cortese di un amministratore ad una domanda garbata di un cittadino.
“Non c’è nessuna richiesta di favore, nessuna pressione e la risposta di Prestileo è quella che avrebbe dato chiunque, persino ovvia!”.
Prestileo peraltro, insiste la Difesa, è sempre stato un tecnico stimato, anche dalle giunte di centrosinistra. “Offrì le sue competenze per far nascere la Marvon, è vero, ma prima dell’arrivo di Mannias, e gratuitamente! Per fare un’opera buona, per aiutare questa cooperativa che si occupava dell’inserimento lavorativo dei disabili. Diede una mano a chi dava una mano”.
Non è mai stato il commercialista di Marcianò Vincenzo cl ’48, presunto socio occulto della Marvon e condannato in primo grado per 416-bis; non c’è un documento in tal senso. Non solo, non intervenne minimamente quando Mannias entrò nella società cooperativa.
Per quanto riguarda Scullino, colpisce la sua presenza al funerale di Ciccio Marcianò, fratello dell’imputato Giuseppe, già coinvolto nell’inchiesta Colpo della Strega e morto ammazzato in una faida; poi ci sono le dichiarazioni di Tarì e Cretarola, che lo accusano di vicinanza a quegli ambienti.
Tarì afferma di aver visto ai seggi, in occasione delle consultazioni, Marcianò e Scullino scherzare e confabulare…Moroni sottolinea però che Marcianò sosteneva Moio, non Scullino (e quest’ultimo ha defenestrato proprio Moio dalla giunta!)
Non avrebbero alcun valore gli altri dati raccolti, “del tutto casuali, occasionali, incapaci di reggere un vaglio critico e logico” (il biglietto d’auguri del Sindaco a Marcianò; il santino elettorale di Scullino a casa di Scarfò; il n° di telefono di Scullino sull’agenda di Omar Allavena).
Moroni sottolinea come, addirittura, in un’intercettazione i mafiosi fossero arrabbiati con Scullino, reo di avere espulso Moio dalla giunta! “Inoltre non bisogna dimenticare che ci sono 25 Scullino a Ventimiglia, non è scontato che ci si riferisca sempre a lui nelle conversazioni captate, per non parlare di quelle in cui si pronuncia solo il nome Gaetano”.
Alle 14 in punto, l’Avvocato si avvia alla conclusione: “Gli indizi vanno osservati con i criteri dettati dall’art. 192 c.p.p., non con l’eleganza della tesi del pm. Ebbene, tali indizi non solo sono non-gravi, come invece prescriverebbe la norma; sono, in verità, del tutto inconsistenti.
Il Tribunale in primo grado ha escluso la sussistenza dell’elemento soggettivo; io non ho fatto impugnazione perché privo di interesse, ma qui mi pare manchi proprio l’elemento oggettivo dei reati contestati!
Concludo ricordando al Collegio – come certamente sa, meglio di me – che l’abuso d’ufficio richiede non solo un comportamento non iure, bensì contra ius, ovvero idoneo a ledere le norme poste a tutela degli interessi della collettività, con un ingiusto vantaggio per l’autore della condotta o per altri. Io credo che Civitas, al contrario, abbia fatto solo cose buone per la città”.