Da più parti era da tempo avvertita la necessità di un ripensamento del così detto privilegio di auto-riciclaggio, annoverato tra i principali motivi di infiltrazione delle consorterie mafiose all’interno del tessuto economico e sociale legale.
Come ha fatto notare la D.I.A., infatti, “Il riciclaggio di denaro ed il reinvestimento dei proventi che derivano da attività criminali, per la loro progressiva espansione su scala nazionale ed internazionale, continuano a rappresentare vere e proprie emergenze economico-sociali”.
Ma a tale emergenza per anni non ha fatto seguito un’adeguata risposta normativa, tanto che l’auto-riciclaggio sino al 15 dicembre 2014 ha costituito il grande assente del nostro sistema penale.
A questo proposito, infatti, nella disciplina ante riforma, costruita essenzialmente attorno all’articolo 648 bis c.p. del Codice Penale, l’auto-riciclaggio costituiva un privilegio, non già un reato, poiché si consentiva di punire il fenomeno solo “fuori dei casi di concorso nel reato” presupposto, quel reato generatore dei proventi illeciti poi soggetti alla successiva attività di ripulitura.
In altre parole, la c.d. clausola di riserva, incipit dell’art. 648 bis c.p., non consentiva di punire quelle condotte di riciclaggio, rectius auto-riciclaggio, poste in essere indifferentemente dall’autore o dal concorrente nel reato presupposto, ovvero dall’autoriciclatore.
Questa situazione ha condotto negli anni ad un vuoto di tutela rilevante, considerato che l’autore del delitto presupposto nella maggior parte dei casi è proprio colui che partecipa a sua volta alle successive operazioni di riciclo.
Ebbene, con la legge n. 186 del 2014 la necessità di punire questi fenomeni viene soddisfatta, e l’auto-riciclaggio da privilegio diventa reato, disciplinato all’articolo 648 ter.1 del Codice Penale.
Tuttavia, il lungo dibattito che ha preceduto e accompagnato l’introduzione della norma non si è sopito, e anzi, questa sin da subito è stata accolta da una bordata di critiche. Niente di nuovo insomma, cose che accadono quando un argomento diventa tema ricorrente non solo nelle apposite sedi ma anche e soprattutto a livello mediatico. Tuttavia, prima di scagliarsi contro la novella è opportuno fare chiarezza sui punti più discussi della stessa.
Innanzitutto, la norma punisce con la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 “chiunque avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
Al comma 2, poi, è prevista una diminuzione della pena per il caso in cui il reato presupposto sia punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
La nuova fattispecie di auto-riciclaggio, pertanto, risulterà integrata qualora, contemporaneamente: sia stato commesso o si concorra a commettere un reato presupposto, generatore di utilità; si impieghino tali utilità, con un ulteriore e autonomo comportamento, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative; mediante tale ulteriore comportamento, si ostacoli concretamente l’identificazione dell’origine delittuosa di detti proventi.
Siamo, quindi, in presenza di un reato proprio, vera novità della fattispecie in esame, ovvero un reato che può essere realizzato non da chiunque ma solamente da soggetti a diverso titolo qualificati, in questo caso dall’autore o dal concorrente nel reato presupposto.
Complessivamente, l’area del penalmente rilevante viene descritta in maniera piuttosto chiara: si tratta di un reato a forma vincolata, che risulta integrato solo qualora vengano poste in essere una serie di condotte (di impiego, sostituzione o trasferimento) tipizzate dalla norma.
Tuttavia, per quanto concerne l’esatta delimitazione del perimetro dei comportamenti incriminati, qualche riserva merita l’utilizzo dell’avverbio concretamente, che impone di imprimere alle condotte di auto-riciclaggio un quid pluris rispetto a quanto previsto per la fattispecie semplice di riciclaggio, che, al contrario, menziona l’ostacolo senza qualificarlo ulteriormente. Quello che ci si chiede è in che cosa debba consistere questo quid pluris.
Un interrogativo del tutto lecito, se solo si consideri che la giurisprudenza in materia di riciclaggio ha inteso l’ostacolo in senso lato, talmente lato da ricomprendere al suo interno tutte quelle modalità tali da creare anche solo un ritardo nella ricostruzione del paper trail o che non impediscono ma rendono solo più difficile l’accertamento della provenienza illecita dei proventi, interpretazione che sicuramente non potrà essere trasposta sic et simpliciter in materia di autoriciclaggio.
Inoltre, interessante e al contempo molto discusso è l’articolato sistema di attenuanti e di aggravanti previsto dalla norma.
In primis, è da valutare positivamente la scelta di aver commisurato la pena prevista per l’auto-riciclatore alla gravità del reato presupposto, poiché rispettosa del principio di proporzionalità della pena, anche se molti dubbi si hanno circa la sua natura in termini di circostanza o di fattispecie autonoma.
Si tenga conto del fatto che la pena sarà in ogni caso quella prevista al comma 1 per la fattispecie ordinaria qualora ricorra la c.d. aggravante della commissione del fatto con metodo mafioso, ovvero quando il fatto sia stato commesso avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo.
Del tutto positiva è anche l’introduzione della circostanza attenuante disciplinata al comma sesto per coloro che collaborino con le autorità inquirenti al fine di evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei proventi di reato.
Sarebbe, tuttavia, opportuno che tale attenuante venisse estesa anche al reato presupposto.
Tra le aggravanti, invece, figura la circostanza prevista al comma 5 qualora i fatti siano commessi nell’esercizio di attività bancaria, finanziaria o di altra attività professionale, in questo caso l’inasprimento del regime sanzionatorio si giustifica con la volontà di colpire colui che sfrutti la propria qualifica professionale per ottimizzare il risultato della sua attività criminale.
Ma a fare maggiormente discutere è stata e continua ad essere la causa di non punibilità prevista al comma 4 qualora i proventi vengano destinati alla mera utilizzazione o al godimento personale.
Ebbene, è proprio attorno a questo specifico punto che risulta necessario fare un po’ di chiarezza.
L’esimente in commento viene giustificata in quanto conseguenza inevitabile della presenza nel nostro ordinamento del principio del ne bis in idem, in forza del quale un medesimo fatto non può essere punito due volte.
In questo senso, infatti, la punibilità dell’autoriciclaggio potrebbe trovare giustificazione solamente limitando la punibilità a comportamenti che determinino un quid pluris rispetto al mero godimento o all’utilizzazione personale del capitale illecito, comportamenti, questi ultimi, sì riconducibili alla categoria del post factum non punibile.
Per vero, ciò di cui bisogna preoccuparsi non è tanto la presenza della disposizione all’interno della norma, quanto piuttosto il modo in cui la Corte la intenderà in concreto: che ne sarà del “godimento di gruppo”? E che dire dell’ipotesi in cui l’utilizzazione personale e il godimento presentino altresì risvolti economici e di profitto per l’agente?
Ebbene, sarebbe opportuno prediligere una lettura della norma in modo da darvi sì applicazione, ma senza estenderne eccessivamente l’ambito di operatività.
A questo fine, si potrebbe rendere applicabile l’esimente anche per quanto riguarda il caso di utilizzazione e godimento condiviso con altri, un’applicazione, tuttavia, limitata esclusivamente all’ipotesi in cui il godimento e l’utilizzo a fini personali siano in concreto prevalenti rispetto a quello degli altri soggetti.
Da altra prospettiva, sarebbe opportuno leggere la condotta dell’agente in termini analitici: si pensi, ad esempio, al caso in cui l’autore del reato presupposto proceda all’acquisto di un immobile a fini di godimento personale, ma il rogito venga effettuato tramite una società da lui interamente controllata.
In un esempio di questo tipo, se si scegliesse di considerare singolarmente e non unitariamente i comportamenti dell’agente, aderendo ad una lettura analitica degli stessi, la conseguenza sarebbe quella per cui una parte della vicenda ricadrebbe sicuramente nell’area del penalmente rilevante e, in particolare, risulterebbe punibile quantomeno la condotta con cui l’autore del reato presupposto abbia proceduto a trasferire il denaro alla società.
Al contrario, se la condotta dell’agente venisse valutata unitariamente, valorizzando la finalità ultima di godimento e utilizzazione personale del bene, allora si rischierebbe di rendere nuovamente penalmente irrilevante l’auto-riciclaggio, posto che nella quasi totalità dei casi lo scopo, primo o ultimo che sia, dell’auto-riciclatore, è comunque quello di godere dei proventi illeciti dopo averli ripuliti.
Tutto questo, per sottolineare come molte delle critiche mosse alla novella potranno essere risolte con un’interpretazione attenta della Suprema Corte Nomofilattica, volta a conferire alla fattispecie la dignità che merita.
Sicuramente, non si può non prendere atto del fatto che l’auto-riciclaggio, per la complessità delle problematiche che lo caratterizzano e a fronte delle numerose critiche che ha ricevuto già all’indomani della sua introduzione, avrebbe meritato di essere maggiormente ponderato, nonché sarebbe stato opportuno prevedere un contestuale ripensamento della fattispecie di riciclaggio di cui all’art. 648 bis c.p. al fine di armonizzare le due disposizioni, rendendo sovrapponibili le condotte che queste si propongono di colpire, per evitare problematiche che invece potranno presentarsi nello stabilire, ad esempio, quale fattispecie rendere applicabile al caso in cui il terzo, che abbia collaborato con l’auto-riciclatore, abbia pero al tempo stesso tenuto una condotta già rilevante come riciclaggio semplice ex art. 648 bis c.p.
Tuttavia, altrettanto vero è che c’era bisogno di un cambiamento, era necessario che il legislatore, rendendosi conto dei limiti intrinseci alla normativa penale per come strutturata, procedesse ad una riforma del sistema, trasformando l’auto-riciclaggio da privilegio a reato e questo il legislatore ha fatto: sarà quindi il tempo a consentire una verifica circa l’effettiva utilità della norma, ma, nel complesso, le basi sono buone, la norma appare piuttosto equilibrata sotto diversi profili e, adeguatamente applicata e interpretata, potrà sicuramente costituire un punto di forza nella lotta al riciclaggio e al conseguente inquinamento del sistema economico-finanziario, oltre che un utile presidio contro la criminalità organizzata.