Condividi questo contenuto

Nella prima parte di questo speciale contributo sui riti criminali della ‘ndrangheta abbiamo affrontato il tema delle procedure di affiliazione e delle doti tipiche di questa associazione. Come promesso e anticipato, vediamo ora quali sono le procedure accertate sul territorio ligure nell’ambito delle indagini preliminari del procedimento “Maglio 3“. In particolare, sono gli stessi soggetti indagati (e poi condannati) che, nel corso delle  intercettazioni trascritte nell’ordinanza di custodia cautelare, discorrono di riti, doti e procedure, fornendo in tal modo alcune indicazioni interessanti sullo spessore criminale di alcuni soggetti e sull’organizzazione della ‘ndrangheta in Liguria.

Una prima riunione in cui si si può affermare con certezza che venne conferita una dote si svolse nelle campagne di Bordighera, nel lontano Gennaio 2010. Alla riunione parteciparono, tra gli altri, diversi esponenti della ‘ndrangheta ligure e non solo, e cioè Domenico Gangemi (considerato capo locale di Genova, definitivamente condannato nel processo “Crimine”) e Bruno Francesco Pronestì (esponente di spicco del basso Piemonte, definitivamente condannato nel processo “Albachiara”). Come risulta dalle intercettazioni, è proprio quest’ultimo soggetto, discorrendo nei giorni successivi con un interlocutore ignoto, ad ammettere che si trattasse di una riunione finalizzata al conferimento di una dote (“ci siamo riuniti [..] per il conferimento di una dote”). Non per niente, nella stessa intercettazione, l’interlocutore di Pronestì si lascia andare ad una considerazione piuttosto eloquente: “[..] questa è una situazione .. di stampo mafioso .. questo è 416 bis..”.

Altrettanto interessante è la riunione che si svolse il mese successivo (28 febbraio 2010) nell’alessandrino, dunque in “territorio piemontese”. In particolare, dall’intercettazione di una conversazione dei giorni appena precedenti, che ha visto come protagonisti Domenico Gangemi e Onofrio Garcea (quest’ultimo definitivamente condannato in “Maglio 3”) è emerso che la riunione del 28.02 avrebbe avuto ad oggetto un “passaggio di carica”, ossia una promozione da una dote all’altra (da sgarrista a santista). A tal proposito, nel dialogo Garcea si dimostra molto contrariato per l’interpretazione data alle regole sociali di affiliazione, asserendo che l’assunzione di una “carica” superiore si sarebbe dovuta realizzare solo alla presenza di un gesto o di un’azione vivida da parte dell’interessato “[..] uno a meno che non riesce a fare una cosa eclatante per noi, che ne salva dieci, quindici, venti dei nostri [..]). A spiegare il perché di questo disaccordo è lo stesso Garcea, al quale non era stata precedentemente concessa analoga promozione, essendo Garcea uno sgarrista.

Dal canto suo, Gangemi fa invece presente a Garcea che l’affiliazione riguardava il locale del Basso Piemonte e che loro avrebbero partecipato al rito in qualità di illustri rappresentanti genovesi (Gangemi era infatti capo-locale, come definitivamente sancito nel processo “Crimine”) e che avrebbero e fornito parere favorevole “per convenienza”. L’importanza della presenza di Gangemi è confermata anche da un dettaglio del summit che è lo stesso Gangemi a raccontare, sempre durante una conversazione, questa volta dei giorni successivi, con Garcea: “il rito è importante, per il morale [..] vi posso prendere la mano, non gli ho detto io di prendermela [..] è uscito male è, lo poteva preparare meglio”. Nel sostenere che, a suo dire, il celebrante avrebbe preparato male il rito, Gangemi ha modo di precisare che durante le procedure il celebrante avrebbe afferrato la sua mano, e ciò per rimarcare il prestigio dell’ospite. Dalla stessa intercettazione da ultimo riportata emerge anche che, oltre alla dote di santa attribuita ad uno sgarrista (con disapprovazione di Garcea) nella stessa riunione venne altresì conferita la dote di picciotto (la prima dote) ad un giovane d’onore, che dunque venne battezzato: “a Caridi…la Mammà” (ossia la Santa)  a Maiolo, la Minna (ad indicare il nuovo ingresso). [Si precisa che Caridi e Maiolo sono stati condannati in via definitiva nel processo Albachiara].

Alcuni spunti interessanti pervengono poi dalle intercettazioni relative alla riunione tenutasi a Lavagna il 16 Marzo 2010 [la riunione si tenne nell’Hotel di proprietà di Paolo Nucera, soggetto quest’ultimo condannato, ancorché in via non definitiva, con l’accusa di essere a capo della locale lavagnese nel processo “I Conti di Lavagna“]. Alla riunione parteciparono, in qualità di esponenti genovesi, il solito Domenico Gangemi e Domenico Belcastro (anch’esso condannato in via definitiva nel processo Crimine con rito abbreviato, in quanto ritenuto capo della locale genovese al fianco di Gangemi). Nelle conversazioni successive alla riunione, Gangemi – dopo aver biasimato i lavagnesi per aver concesso la dote di santista ad un soggetto troppo giovane ed inesperto – schernisce Belcastro per essersi “impappinato” all’atto di formare la riunione (ogni summit di ‘ndrangheta si apre con precise formule di rito); tuttavia, lo stesso Gangemi ha poi cura di precisare che, essendo vangelo da anni, Belcastro sarebbe il migliore nel formare le riunioni. Così facendo, Gangemi ci consente di capire quale fosse la dote di Belcastro.

Da ultimo, doti, cariche e procedure di affiliazione sono al centro di una fitta conversazione (trascritta alle pagine 12 – 22 dell’ordinanza di custodia cautelare di Maglio 3) avvenuta in Calabria nell’agosto 2009 presso il terreno di Domenico Oppedisano, soggetto quest’ultimo considerato al vertice della ‘ndrangheta calabrese con la carica di capo-crimine e condannato in via definitiva nell’omonimo processo “Crimine“. Nel corso di questo dialogo l’interlocutore di Oppedisano (che è sempre Domenico Gangemi) oltre a lasciarsi andare ad un’affermazione ormai storica (“pare che la Liguria è ‘ndranghetista“) approfondisce con Oppedisano stesso le procedure necessarie per attribuire le doti. A tal proposito, dopo aver precisato a Gangemi che per concedere la dote di padrino è necessario “un bacio in fronte“, Oppedisano ricorda di aver concesso, proprio in territorio calabrese e precisamente durante la riunione di Polsi, tale dote ad un soggetto (“Bruno”) che secondo il GIP di Genova sarebbe il già menzionato Pronestì, capo locale dell’alessandrino. Verosimilmente, la dote di padrino era anche quella di Gangemi, vista la sua carica di capo-locale genovese.

******

Per un maggiore approfondimento si vedano:

  • Maglio 3, Ordinanza di Custodia Cautelare del GIP di Genova del 24 Giugno 2011“, disponibile su questo sito.
  • E. Ciconte, Riti Criminali. I codici di affiliazione alla ‘ndrangheta, Rubbettino, 2015.

Nella foto: entroterra ligure – by Daniele D’Andreti on Unsplash