E’ una storia complessa, quella della ‘ndrangheta in Liguria. Una storia legata da un filo rosso che, a partire dalle pendici dell’Aspromonte, si dipana in molteplici direzioni, spesso attorcigliandosi sulla città di Lavagna (GE). Una storia che si riempie di un nuovo, interessante, capitolo.
Lavagna era già stata interessata dal procedimento Maglio 3, con l’ultimo imputato (in rito ordinario), Paolo Nucera, ancora in attesa di un verdetto. Da Lavagna la D.D.A. è ripartita, per tentare di riscrivere la storia di questo Comune e, più in generale, del radicamento mafioso nella nostra Regione.
“La mafia uccide solo d’estate”, era un modo di dire diffuso, prima di diventare il titolo di un bel film di Pif. Verrebbe da dire, però, che anche “l’antimafia colpisce d’estate”: ancora una volta, i mesi di giugno e luglio si rivelano particolarmente caldi per la nostra terra.
Riannodando i fili, appunto, di questa storia: nel luglio del 2010 venivano arrestati Gangemi e Belcastro, a Genova, su ordine della D.D.A. di Reggio Calabria; nel giugno del 2011 scattavano le manette per i loro sodali, distribuiti in tre province (La Spezia, Genova, Imperia, inchiesta “Maglio 3”); nel 2012, rara eccezione, l’operazione La Svolta si svolge il 3 dicembre; nel luglio 2013, Mimmo Gangemi viene condannato a 19 anni e 6 mesi dal Tribunale di Locri, quale referente della ‘ndrangheta in Liguria. Nel giugno 2014 è arrivata la Cassazione “Infinito”, che ha confermato l’esistenza della ‘ndrangheta nel milanese; l’anno dopo – stesso periodo – la Cassazione “Albachiara”, che ha certificato le infiltrazione malavitose nel basso Piemonte.
E arriviamo all’alba del 20 giugno 2016, quando la piccola cittadina del Tigullio viene sconvolta da un’inchiesta senza precedenti. In quella data, è stata eseguita infatti un’ordinanza di custodia cautelare che ha tradotto in carcere 5 persone (Paolo, Antonio e Francesco Nucera; Francesco Antonio e Antonio Rodà) e ne ha collocate tre agli arresti domiciliari (Mondello Gabriella, Sanguineti Giuseppe e Talerico Massimo). Altri due soggetti (Giovanni, di Antonio, Nucera e Massimiliano Arco) sono stati colpiti dall’obbligo di dimora; Ivana Pinasco, infine, dal divieto di esercitare la carica di legale rappresentate di persone giuridiche.
Contestualmente, il GIP ha disposto il sequestro di tutti i beni riconducibili a Rodà Francesco Antonio (locali commerciali, magazzini e appartamenti, situati tra Lavagna e Sestri Levante; tre autovetture; un’impresa individuale; tutti i rapporti finanziari).
Ancora, il pm ha disposto il sequestro preventivo dei beni oggetto dei reati di abuso d’ufficio, nonché di quelli riconducibili al traffico illecito di rifiuti, tra i quali spiccano ben 4 chioschetti sul lungomare Labonia di Lavagna; il bar “Ostigoni”; la società “Autotrasporti Nucera di Nucera Francesco & C. snc.”, avente ad oggetto la raccolta e il trasporto di rifiuti solidi urbani e assimilati; la “Stazione di trasbordo rifiuti” (denominata Eco Centro).
Ventitré soggetti, in tutto, risultano indagati. Tra questi spiccano:
-Gli esponenti della famiglia Nucera: Paolo, Antonio e Francesco (da Condofuri, RC), insieme alla “seconda generazione” (Giovanni, figlio di Paolo, e l’altro Giovanni, figlio di Antonio, entrambi nati a Chiavari, GE).
-Francesco Antonio e Antonio Rodà, originari di Melito di Porto Salvo (RC);
Per quanto concerne i “colletti bianchi”, sono indagati a vario titolo Giuseppe Sanguineti, sindaco di Lavagna; Luigi Barbieri, Vicesindaco e Assessore all’Ambiente, Edilizia privata e Urbanistica; Gabriella Mondello, già deputata e consigliere comunale fino al 2014; Massimo Talerico, consigliere comunale a Lavagna.
Secondo il pm Alberto Lari, le famiglie Nucera-Rodà avrebbero costituito un locale di ‘ndrangheta nella città di Lavagna, espressione della cosca Rodà-Casile di Condofuri (RC); si tratterebbe, a tutti gli effetti, di un’associazione mafiosa, per i metodi utilizzati e gli obiettivi perseguiti (capo A d’imputazione).
Sono state accertate, infatti, tutte le finalità tipiche di cui all’art. 416 bis c.p.: la commissione di delitti (in materia di ambiente ed armi); la gestione di attività economiche, appalti, servizi pubblici (dalla raccolta dei rifiuti agli esercizi commerciali); il condizionamento del voto nelle consultazioni elettorali (le ultime elezioni amministrative del 2014); il conseguimento di profitti ingiusti, “anche tramite l’apporto di pubblici ufficiali o incaricati di p.s.”.
Paolo Nucera viene indicato quale capo indiscusso del sodalizio; Francesco Antonio Rodà sarebbe il suo luogotenente, figura di spicco che ne cura gli interessi economici e provvede al sostegno dei detenuti e dei loro familiari. Gli inquirenti ipotizzano che Rodà abbia preso le redini del locale, dopo il primo arresto di Nucera, che sta tuttora affrontando un processo per associazione mafiosa (“Maglio 3”).
Antonio e Francesco Nucera gestiscono invece l’attività di stoccaggio e trasporto di rifiuti per il Comune (ma custodiscono, altresì, le armi del gruppo).
Antonio Rodà e, soprattutto, Paolo Paltrinieri, impiegano il denaro proveniente dal traffico di droga, di armi e dal gioco d’azzardo, reinvestendo i capitali sporchi.
Un’organizzazione consolidata e ramificata.
Determinante si è rivelato il contenuto delle “ambientali” collocate nell’ufficio della ex deputata Mondello e, soprattutto, all’Hotel Ambra (hotel già noto alla cronaca giudiziaria, in quanto sede di un summit documentato nell’inchiesta Maglio 3, al quale partecipò tutto il gotha della ‘ndrangheta in Liguria).
Nella hall, da una parte viene evidenziata un’ingente attività (almeno in parte usuraria) di prestito di denaro, da parte di Rodà Francesco Antonio; dall’altra, si osservano incontri eminentemente elettorali (il candidato sindaco Sanguineti, accompagnato da Ettore Mandato, si reca all’hotel per ottenere l’appoggio del boss).
“Si è altresì rilevato che coloro che si sono recati presso la pensione Ambra hanno sempre assunto un atteggiamento di riguardo e rispetto nei confronti di NUCERA Paolo”.
Altro dettaglio significativo, Paolo Nucera e Francesco Antonio Rodà hanno ospitato in hotel, senza darne menzione nel registro degli alloggiati, le famiglie degli affiliati alla cosca RODÀ-CASILE di Condofuri (RC), “garantendo loro il soggiorno necessario a sostenere i colloqui con i condannati detenuti presso le Case Circondariali di Genova e Voghera; gli stessi hanno ospitato anche gli affiliati, NUCERA Raffaele e MODAFFARI Carmelo i quali dopo aver espiato la condanna, sono stati accompagnati a sostenere i colloqui nelle predette Case Circondariali”.
Rispetto all’indagine “madre” Maglio 3, si nota immediatamente che – accanto al reato associativo – sono contestati numerosi delitti-scopo (i quali lasciano intuire un radicamento effettivo del sodalizio criminale nella realtà del Tigullio).
Paolo Paltrinieri e Daniela Manglaviti sono accusati di essersi attribuiti fittiziamente la titolarità di una società, in realtà gestita da Francesco Antonio Rodà, con l’aggravante – pertanto – dell’agevolazione mafiosa (art. 7, d.l. 152/1991).
A Paltrinieri, in concorso con Giovanni Nucera, di Paolo è contestato anche l’esercizio abusivo dell’organizzazione di scommesse.
Sempre il Rodà deve rispondere di usura continuata e di esercizio abusivo di attività finanziaria (art. 132, d.lgs. 385/ 1993).
Numerosi soggetti sono accusati di detenzione e porto di armi (un fucile, 5 pistole semiautomatiche, 2 revolver, munizioni e cartucce). L’8 novembre 2013 veniva rinvenuto tale arsenale a S. Colombano Certenoli (nell’entroterra chiavarese), occultato presso un terreno formalmente intestato a Lorenza Calderone, figlia di Natale (soggetto che annovera precedenti di polizia per tentato omicidio, porto abusivo, detenzione d’armi e favoreggiamento). Sei mesi dopo, venivano registrate conversazioni tra gli indagati che consentivano di ricondurre le armi al gruppo Nucera-Rodà, con assoluta certezza.
Il capo F), contestato ad Antonio, Francesco, Paolo, Giovanni (di Paolo) Nucera, Ivana Pinasco e Lorenzo Rossi, consiste nella violazione dell’art. 260 T.U.A. (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti): secondo gli investigatori, il sodalizio gestiva “con modalità totalmente illecite – contravvenendo alle prescrizioni imposte dalla normativa vigente, dall’autorizzazione provinciale e dal contratto di affitto con il comune di Lavagna – la stazione di trasbordo, realizzando, con cadenza quasi quotidiana, attività di “miscelazione” di rifiuti di ogni genere, compreso lo smaltimento anche di rifiuti speciali, costituiti da inerti, da latte di vernici, pittura, e altro materiale altamente inquinante; caricando il compattatore dei rifiuti di tipo indifferenziato con rifiuti di genere diverso, trasportando l’amalgama alla discarica di Genova-Scarpino, utilizzando falsi formulari”.
Gli stessi soggetti (eccetto Paolo Nucera) devono rispondere di truffa ai danni di ente pubblico (nella fattispecie, il comune di Lavagna), dal momento che attraverso gli irregolari conferimenti all’Eco Centro, avevano indotto in errore il Comune di Lavagna, procurandosi ingiusto profitto; nonché di falso ideologico, per le dichiarazioni mendaci contenuti nei formulari e nei registri previsti, per legge, per quella attività.
“L’ascolto delle conversazioni di NUCERA Antonio e le riprese video effettuate presso la predetta stazione di trasbordo (unico punto di temporaneo stoccaggio dei rifiuti solidi urbani del Comune di Lavagna), hanno inequivocabilmente dato ampio riscontro alle dichiarazioni rese dai funzionari comunali, accertando delle responsabilità nei confronti di NUCERA Antonio, NUCERA Francesco, PINASCO Ivana, NUCERA Giovanni e ROSSI Lorenzo in merito alla realizzazione di un’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, alla commissione di reati ambientali, truffa aggravata e frode nelle pubbliche forniture”.
Va sottolineato, inoltre, che già in data 9 marzo 2015 era stata eseguita una prima ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Antonio Nucera (e Giacomo Puleo), accusati di violenza sessuale, istigazione alla prostituzione minorile e cessione di sostanze stupefacenti.
Ma come anticipato, i presunti ‘ndranghetisti di Lavagna si occupavano anche di politica.
Il (candidato) sindaco Sanguineti ed il (futuro) consigliere Talerico (poi delegato al demanio, non a caso) avrebbero “comprato” un pacchetto di voti, gestito dai Nucera (con la partecipazione della Mondello) in cambio di cospicue utilità (per questo sono tutti accusati di corruzione elettorale, art. 86 d.p.r. 570/1960). Il pm evidenzia, a questo proposito, numerose contropartite: la proroga del contratto di locazione dell’Eco centro; la proroga dell’appalto per la gestione dei rifiuti; il mantenimento del bar Ostigoni (in spregio a una sentenza del Consiglio Stato, che ne aveva ordinato la demolizione); l’assenza di qualunque controllo/sanzione per i chioschetti sul lungomare, per tutto il 2014, nonostante manifeste irregolarità; nuove concessioni per il commercio su aree demaniali.
Dalle intercettazioni ambientali e telefoniche disposte nei confronti di Gabriella Mondello emergevano, in particolare, “reati contro la pubblica amministrazione realizzati per favorire, quale contropartita, gli interessi economici della famiglia NUCERA e dei soggetti di origine calabrese che avevano sostenuto (convogliando un pacchetto di voti) il candidato Sindaco, poi eletto, SANGUINETI Giuseppe; in particolare, l’impresario MANDATO Ettore e le famiglie GENTILE, FELLETI e SQUADRITO, tutte titolari di autorizzazioni demaniali sul litorale di Lavagna”. Numerose si rivelano, pertanto, le condotte di abuso d’ufficio, contestate soprattutto al Sindaco.
L’ex deputata Mondello è accusata, altresì, di traffico di influenze illecite (346 bis c.p.).
Il pubblico ministero Alberto Lari sostiene, in definitiva, che a Lavagna sia presente un locale di ‘ndrangheta, i cui capi e organizzatori si devono individuare in Paolo Nucera e Francesco Antonio Rodà e i partecipanti, tutti legati dal vincolo di sangue, in Antonio e Francesco Nucera e Antonio Rodà. “In trent’anni hanno strutturato un’articolazione territoriale dell’associazione mafiosa presente e operante nel quartiere San Carlo di Condofuri (RC) che ha offerto, e offre tuttora, una base logistica pronta a soddisfare le necessità degli affiliati operanti nella terra natia, impegnata, prevalentemente, a reimpiegare in attività economiche lecite e in investimenti immobiliari, intestati a prestanome, il denaro di provenienza illecita”.
L’associazione mafiosa sarebbe già ampiamente radicata, come si evince dai documentati reati-fine: l’attività organizzata per il traffico illecito dei rifiuti; la gestione o il controllo di attività economiche, concessioni, appalti e servizi pubblici; l’illecita detenzione di armi e munizioni; il traffico illecito di sostanze stupefacenti; il gioco d’azzardo e le scommesse clandestine; l’impiego di denaro di provenienza illecita e l’intestazione fittizia di beni; il voto di scambio elettorale.
Per quanto concerne infine il metodo mafioso, ovvero lo sfruttamento del clima di intimidazione, assoggettamento ed omertà, si può rilevare come, pur mantenendo un basso profilo per non attirare l’attenzione delle forze dell’ordine, il locale disponeva di numerose armi, da utilizzare in caso di bisogno. Ma soprattutto, “L’indagine ha permesso di mettere in evidenza che NUCERA Paolo, RODÀ Francesco e NUCERA Antonio mantengono il controllo del territorio nel Tigullio” ed ha accertato “l’esistenza di una condizione di soggezione ed omertà nei confronti delle famiglie NUCERA e RODÀ da parte di una pluralità di soggetti che a vario titolo si sono relazionati con loro, un particolare comportamento di “rispetto” da parte di rappresentanti delle Istituzioni locali e, soprattutto, è stato riscontrato il timore da parte di pubblici amministratori di subire atti di ritorsione qualora non avessero ottemperato alle richieste della famiglia NUCERA, mostrando così la piena consapevolezza della matrice mafiosa”.
Parafrasando quel che diceva Mimmo Gangemi (condannato a 19 anni e 6 mesi per associazione mafiosa, n.d.r.), “pare che Lavagna è ndranghetista”…
Guarda l’infografica –> I conti di Lavagna in pillole