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La figura del “concorso esterno in associazione mafiosa” deriva semplicemente dall’applicazione della disciplina del concorso di persone nel reato (110 c.p.) all’associazione di tipo mafioso (416 bis c.p.). Elaborata dalla giurisprudenza all’indomani dell’approvazione della Legge Rognoni-la Torre (1982), ha spesso diviso gli interpreti: per alcuni, il reato associativo ammetterebbe unicamente la condotta di partecipazione, per cui un soggetto se non è intraneus al sodalizio, non dovrebbe soggiacere all’applicazione di questa norma. Ma non si può essere d’accordo, perché l’istituto del concorso di persone nel reato è una norma di parte generale che non contempla eccezioni. Inoltre, tale norma permette di valorizzare la specificità dei singoli contributi forniti ad un consesso mafioso: si può partecipare stabilmente all’associazione ovvero ci si può limitare a fornire, dall’esterno, il proprio apporto, pur rilevante. Dunque, richiamando a contrario la condotta di partecipazione, si potrà configurare il concorso (esterno) nel reato associativo quando il soggetto è privo della volontà di “compenetrarsi organicamente nell’associazione” (cfr. Cass., Sez. Un., 12 luglio 2005, Mannino).
La giurisprudenza ha più volte esaminato e ridefinito in sede di legittimità la nozione, intesa come insieme delle condotte poste in essere da soggetti esterni al sodalizio, ma finalizzate a rafforzarlo, attraverso specifici contributi; si tratta di comportamenti particolarmente gravi, realizzati dalla cosiddetta zona grigia, la folta schiera di soggetti (avvocati, commercialisti, imprenditori, politici), che pur senza essere mafiosi, si adoperano per coadiuvare l’associazione nel raggiungimento dei propri obiettivi. In assenza di una specifica previsione normativa, più volte auspicata dalla dottrina, si tratta di analizzare le principali tappe dell’evoluzione giurisprudenziale sull’argomento.

L’art. 110 c.p. esige innanzitutto il medesimo reato, dunque tutte le condotte ascrivibili al concorso (pur esterno) devono essere teleologicamente orientate verso l’evento tipico dell’associazione di tipo mafioso. Il concorso in associazione mafiosa va dunque preliminarmente distinto da rapporti ambigui quali la vicinanza, la disponibilità, la contiguità compiacente, moralmente deprecabili senz’altro, ma di norma penalmente irrilevanti. Il problema di fondo sta proprio nel punire le pericolose condotte di sostegno alle mafie senza esagerare nell’anticipazione della tutela penale.
Un primo approdo fondamentale è la sentenza Demitry (Cass., Sez. Un., 5 ottobre 1994), che la Cassazione affronta a Sezioni Unite, proprio per porre fine all’incertezza sul tema. In tale pronuncia si ammette il concorso in esame, ma solo in situazioni patologiche di emergenza, in momenti di “fibrillazione”. Il concorrente sarebbe colui che, in circostanze particolarmente critiche per l’associazione, apporta un contributo atipico, specifico, non fisiologico.
Ciò che non convince, nella sentenza in esame, è l’affermazione finale dei giudici, secondo i quali tale contributo del concorrente consentirebbe all’associazione “di mantenersi in vita”. La Corte sembra, cioè, individuare nel concorrente una sorta di “salvatore” del sodalizio, che si attiva in momenti di crisi, circoscrivendo in modo davvero eccessivo l’applicazione della fattispecie.
A seguito della sentenza Villecco del 2001, che negava tout cout la configurabilità del concorso esterno, si rende necessario un nuovo intervento delle Sezioni Unite. E’ la sentenza Carnevale (Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2002), che vede protagonista l’ammazzasentenze, il giudice della Cassazione accusato di aver aggiustato numerosi processi di mafia, disponendo annullamenti dovuti per lo più a vizi di forma. In questa occasione la Suprema Corte afferma che sè configurabile il concorso esterno «nella persona priva di affectio societatis e non inserita nella struttura organizzativa del sodalizio che fornisce un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, a carattere indifferentemente occasionale o continuativo, purché abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione e l’agente se ne rappresenti, nella forma del dolo diretto, l’utilità per la realizzazione anche parziale del programma criminoso». E’ invece partecipe dell’associazione «chi si impegna a prestare un contributo alla vita del sodalizio, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento ed omertà che ne derivano, per realizzare i fini previsti».
Nella sentenza Carnevale si afferma che il discrimen tra le due condotte non va ricercato tanto nell’elemento soggettivo, quanto nell’affectio societatis. Infatti in entrambi i casi è richiesto il dolo specifico di realizzare i fini dell’associazione, un dolo almeno diretto e non meramente eventuale. L’aspetto più significativo è però la critica alla “teoria della fibrillazione” elaborata nella sentenza Demitry: ciò che conta è la rilevanza del contributo, indipendentemente dal momento in cui viene posto in essere. In generale, l’aggiustamento dei processi può essere ben punibile a titolo di concorso esterno, soprattutto se reiterato (e nel caso del dott. Carnevale c’erano elementi per sostenerlo), ovvero relativo anche ad un unico procedimento, ma particolarmente complesso, atto a disgregare il sodalizio criminale. La Cassazione però, nel caso concreto, annullò la sentenza della Corte d’Appello (ironia della sorte), che aveva condannato Carnevale a 6 anni di reclusione, anche a causa di una errata interpretazione degli artt. 201 e 125, c. 4, c.p.p. (in tema di segreto della camera di consiglio): in nome dell’inviolabilità del conclave, non furono prese in considerazione le testimonianze degli altri membri del collegio, che avevano documentato le scorrettezze del dott. Carnevale.
L’ultimo approdo della giurisprudenza sul concorso esterno è la citata sentenza Mannino: il noto esponente della DC siciliana, al termine di un lungo calvario, fu ritenuto non colpevole del reato in questione. Siamo nell’ambito, così spinoso, dei rapporti collusivi tra mafia e politica. In questo caso i giudici riprendono le affermazioni contenute nella sentenza Carnevale ma vanno oltre, esigendo anche una verifica ex post della rilevanza causale del contributo apportato (mentre nella Carnevale sembrava bastare un’idoneità apprezzabile ex ante). Si richiede, cioè, la consapevolezza/volontà di arrecare un contributo alla realizzazione anche parziale del programma criminoso del sodalizio e una valutazione particolarmente rigorosa del nesso di causalità. La Cassazione arriva, pertanto, a trasporre i principi della nota sentenza “Franzese” in ambito concorsuale, operazione altamente discutibile, vista l’assenza di leggi scientifiche di copertura: il risultato è un’apertura incondizionata alla discrezionalità del Giudice che, caso per caso, dovrà valutare quanto avrà inciso il contributo arrecato dal politico (o chi per esso) al rafforzamento dell’organizzazione.
In altre parole, non è più sufficiente dimostrare l’impegno del concorrente in favore del sodalizio: occorrerà verificare, nel caso di specie, quale risultato abbia effettivamente conseguito.
G. De Francesco ha criticato la soluzione iper-garantista adottata dalla Cassazione, affermando – in linea con l’interpretazione precedente – che la condotta di concorso esterno dovrebbe tradursi in un «ampliamento della dotazione strumentale ex ante idonea al perseguimento del programma associativo» ed inoltre:

«L’organizzazione non può venire assimilata alla dimensione statica propria di un evento – come tale suscettibile di venire causato o “concausato” da una condotta esterna (cfr. l’evento-morte nel caso della responsabilità per malpratice medica, n.d.r.) – dovendo invece, ed a sua volta, essere colta e valorizzata nel suo aspetto dinamico di un’entità funzionalmente rivolta al perseguimento di uno scopo, e cioè appunto quello di realizzare il programma in ragione del quale risulta costituita. E da questo punto di vista, la condotta del concorrente sembra doversi atteggiare nella forma di un contributo, di un apporto utilizzabile in vista di detto scopo, e tale da concorrere all’incremento dell’idoneità dell’associazione a perseguirlo. […] Non sarà necessario che il beneficio strumentale in tal modo arrecato venga a risolversi, in base ad un giudizio a posteriori, in un risultato vantaggioso per la permanenza o il consolidamento dell’associazione» .

L’approdo della sentenza Mannino, comunque, è rimasto intatto: tutta la giurisprudenza successiva si è scrupolosamente attestata su tale insegnamento nomofilattico, con la conseguenza che le condanne definitive per concorso esterno in associazione mafiosa sono state rare (tra i “colletti bianchi” più noti, dopo il 2005, si ricorda, forse, il solo Marcello Dell’Utri).
La Cassazione, nella circostanza, si è sofferma sulla distinzione tra le condotte “riprovevoli dal punto di vista etico-sociale” e quelle penalmente rilevanti, un argomento scivoloso, mentre con lucidità ha analizzato la differenza tra la condotta del concorrente esterno e quella punita nell’art. 416 ter, che non richiede un contributo al mantenimento dell’organizzazione bensì si limita a colpire uno specifico episodio di scambio elettorale, anticipando la tutela penale.
Infine, alla sentenza Mannino si deve l’elaborazione più nitida della condotta di partecipazione, delineata quale «stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo dell’ente».
Val la pena di sottolineare che, in seguito al consolidamento di quest’interpretazione molto rigida della norma, la magistratura ha iniziato a colpire le pericolose condotte di fiancheggiamento ai sodalizi mafiosi con altre fattispecie, quali il favoreggiamento aggravato dall’agevolazione mafiosa (si veda il caso dell’ex Presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro) ovvero, nei casi più gravi, la partecipazione interna, paradossalmente più semplice da argomentare sul piano probatorio (dal momento che il rito di affiliazione, secondo una massima d’esperienza consolidata, è già di per sé idoneo a realizzare la “compenetrazione” richiesta).