In attesa del deposito delle motivazioni della sentenza di appello del processo La Svolta, che ha parzialmente riformato la pronuncia di primo grado emessa dal Tribunale di Imperia, può essere utile riannodare alcuni fili di questa storia. Nel pieno rispetto del decisum dei Giudici – e con la consapevolezza che solo la lettura delle motivazioni potrà chiarire il loro operato – pare possibile, per lo meno, interrogarsi sull’assoluzione, “perché il fatto non fatto sussiste”, disposta in favore di tutti i presunti partecipi del sodalizio di Bordighera (capo A-bis).
La sentenza infatti contiene un giudizio tranchant su questo secondo locale: i 4 fratelli Pellegrino e Antonino Barilaro sono stati tutti ritenuti non colpevoli.
Non è ancora nostro compito spiegare il perché di tale decisione (lo faremo, appunto, solo dopo aver letto le motivazioni, da depositarsi entro 90 gg dalla lettura del dispositivo).
Quello che, però, ci sembra utile è ripercorrere i passaggi più significativi della sentenza di primo in grado in cui venivano documentati le azioni criminali ed i comportamenti posti in essere dagli imputati di Bordighera.
Infatti, al di là della qualificazione giuridica opportunamente attribuita dai diversi Giudici, i fatti restano e debbono essere scolpiti nella nostra memoria di cittadini.
Dunque, riassumendo, è “crollata” un’intera imputazione, quella relativa al “locale di Bordighera”. Ma facciamo un passo indietro.
I bordigotti erano inizialmente indagati insieme al gruppo di Ventimiglia, con la stessa imputazione di cui al capo A). Il pm Arena chiese le misure cautelari per i Pellegrino sulla base di tale impostazione. Il Gip Cusatti, tuttavia, gliele negò, “evidenziando una totale autonomia conseguita dal sodalizio operante su Bordighera e zone limitrofe”.
Il pm allora, anziché impugnare (come avrebbe potuto) l’ordinanza di rigetto, modificò la sua imputazione, addivenendo alla formulazione del capo A-bis (locale separato di Bordighera).
Anche dal processo Maglio 3, del resto, emergerebbe che Marcianò e Palamara comandavano su Ventimiglia, Vallecrosia e Camporosso, mentre i Pellegrino operavano altrove, a stretto contatto coi Barilaro.
Il loro modus operandi era “totalmente difforme”, scrive il Tribunale, da quello del gruppo intemelio, che prediligeva infiltrarsi nelle attività economiche “con un esercizio minimo di attività violente o minacciose”. Dunque mentre a Ventimiglia si manteneva, scientemente, un basso profilo, per non attirare l’attenzione dei media e delle forze dell’ordine, a Bordighera si verificavano episodi più eclatanti. Ma vi sono anche altre ragioni per cui era stata sposata la teoria del “doppio locale”.
Il M.llo Camplese, per esempio, ricorda che i Pellegrino, prima di partecipare ad un appalto per la costruzione della sala Bingo di Ventimiglia, chiesero il placet a Marcianò: se il locale fosse stato unitario, non ci sarebbe stata alcuna richiesta di questo tipo, bensì avrebbe assunto la decisione, in prima persona, Marcianò, affidandone poi l’esecuzione, semmai, ai Pellegrino.
Idem, quando Lucia Pepé (moglie di Maurizio Pellegrino) tentò di aprire la sala giochi a Bordighera, nessun ventimigliese si adoperò per lei (in quanto si trattava di un “fatto estraneo alla loro giurisdizione”).
In un’intercettazione, del resto, Giuseppe Marcianò spiega chiaramente al figlio Vincenzo che i bordigotti inizialmente facevano parte dell’unico locale, poi hanno acquisito maggiore autonomia. Il vecchio boss pare critico nei confronti delle “nuove generazioni”: “Hanno rovinato il lavoro di quarant’anni…sono dei fanatici”.
Il Tribunale osserva che se la locale fosse stata unica, Marcianò non si sarebbe limitato ad esprimere disappunto, ma sarebbe intervenuto energicamente per reprimere le condotte a lui sgradite!
Diverse, infine, sono anche le attività criminali: a Ventimiglia si praticano attività nell’ombra (usura), al massimo estorsioni derivanti dalla recalcitranza degli usurati a pagare; i membri del gruppo intemelio sono divenuti un vero e proprio punto di riferimento cittadino, risolvono conflitti interindividuali, mirando a sostituire il potere pubblico.
A Bordighera, invece, è più spiccato l’utilizzo del metodo mafioso: estorsioni violente, incendi, traffico di stupefacenti.
Il Tribunale di Imperia, sposando perfettamente l’impostazione accusatoria, non ha avuto dubbi: “E’ possibile affermare che nella zona di Bordighera risulta da anni operante un gruppo criminale del quale fanno parte vari esponenti delle famiglie Pellegrino e Barilaro. Si evidenzieranno quindi le ragioni che consentono di definire come mafioso l’agire criminale di tale sodalizio…L’esame degli elementi che connotano la fattispecie di cui all’art. 416 bis cp. risulterà utile a comprendere perché le condotte degli imputati giudicati partecipi dell’associazione di stampo mafioso operante in Bordighera, autori di una serie di delitti-scopo, non siano qualificabili come un mero concorso di persone in reato continuato”.
I Giudici si soffermano sui requisiti della norma: struttura organizzativa, metodo mafioso, eterogeneità degli scopi perseguiti.
Ciò che rileva maggiormente, come sempre nei processi di mafia al Nord, è la prova del metodo mafioso: è richiesta una forza di intimidazione produttiva di assoggettamento ed omertà.
A questo proposito, Il Tribunale aderisce, in linea con la più tradizionale interpretazione (ora in verità superata), “all’orientamento che ritiene necessarie un’estrinsecazione ed una percezione della forza intimidatrice del sodalizio mafioso in una comunità di persone”.
E prosegue: “Si esporranno i fatti e i motivi per cui questo collegio ha ritenuto, all’esito del processo, la sussistenza dei requisiti necessari per affermare l’esistenza della zona di Bordighera di un’associazione operante con metodo mafioso, composta principalmente da soggetti appartenenti alle famiglie Pellegrino e Barilaro”.
Trattandosi di reato associativo, occorre verificare anzitutto l’esistenza di una pluralità di persone: due “famiglie” sono coinvolte. I 4 fratelli Pellegrino sono figli di Domenico Pellegrino e De Marte Vincenza, originari di Seminara (cittadina che ha vissuto una sanguinosa faida a partire dagli anni ’70 ed il cui consiglio comunale è stato sciolto nel 2007). I Barilaro provengono da Anoia, altra località ad alta densità ‘ndranghetistica. Antonino (l’unico Barilaro imputato ne La Svolta) è zio di Nadia, moglie di Giovanni Pellegrino e figlia di Francesco Barilaro (imputato in Maglio 3). Evidente il legame tra le due ‘ndrine: i legami di sangue o agnatizio costituiscono massima solidarietà criminale e attenuano i rischi di dissociazioni e collaborazioni. Per il Tribunale di Imperia “il legame con soggetti e gruppi criminali (i quali abbiano acquisito negli anni una particolare temibilità) non può non riverberarsi sulla valutazione giuridica delle condotte da tali sodalizi poste in essere fuori dal territorio calabrese”.
Il capo di imputazione formulato dal pm Arena indica Francesco e Fortunato Barilaro (fratelli di Antonino), Michele Ciricosta e Pepé Benito come capi del sodalizio in Bordighera (tutti giudicati separatamente in Maglio 3). Mente “Per quel che riguarda Barilaro Antonino, i fratelli Maurizio, Giovanni e Roberto Pellegrino non sussistono dubbi sulla loro appartenenza alla ‘ndrangheta. Pur non essendovi prove dirette della loro sottoposizione a battesimi o del conferimento di doti a loro vantaggio appresso si vedrà che non mancano elementi che inducono a ritenere dimostrata la loro formale affiliazione”.
E neppure ciò sarebbe rilevante, infatti “è essenziale la dimostrazione della volontà di essere stabilmente membro del sodalizio e di dare un contributo ad una struttura che opera con metodo mafioso. Gli elementi acquisiti non lasciano dubbi sulla partecipazione di gran parte degli imputati all’associazione mafiosa di cui al capo a bis)”. Anche i pentiti Oliverio e Cretarola, tra l’altro, li hanno indicati come sicuramente affiliati alla ‘ndrangheta.
Le difese hanno prodotto la sentenza assolutoria di Maglio 3 sostenendo che se i presunti capi sono stati dichiarati non colpevoli, non possono sussistere partecipanti a tale ipotetica associazione mafiosa. Ma il Tribunale di Imperia ha sottolineato, al contrario, che dal verdetto (pur assolutorio) del Gip Carpanini emerge chiaramente che gli imputati erano affiliati alla ‘ndrangheta! Lì mancava, semmai, la prova di un concreto agire mafioso: prova che invece viene rinvenuta ne La Svolta, celebratasi in rito ordinario, con maggiore possibilità di approfondimento istruttorio.
“Questo Collegio ha così potuto accertare con ragionevole certezza che membri del sodalizio di Bordighera erano partecipi della stessa organizzazione diretta dagli imputati del processo Maglio 3…Gli imputati di cui al capo A bis) non hanno solo compiuto atti dimostrativi di una forza intimidatrice del sodalizio, creativa di uno stato di assoggettamento e di omertà, ma quali membri dell’associazione, con metodo mafioso, hanno commesso delitti e posto in essere altre condotte contemplate dall’art. 416 bis cp. finalizzate al rafforzamento e all’espansione della stessa. Dunque la matrice ‘ndranghetistica del sodalizio di Bordighera, sicuramente dimostrata nel procedimento Maglio 3, riverbera potentemente il suo valore nel presente procedimento (nel quale si è dimostrata in più l’operatività dei membri dell’associazione mafiosa)”.
Il Tribunale passa, dunque, in rassegna alcuni elementi che hanno fondato il proprio convincimento.
-in un’intercettazione, Giovanni Pellegrino chiede a Fortunato Barilaro (capo-locale) la sostituzione dell’avvocatessa collaboratrice di Bosio, insoddisfatto del di Lei lavoro. Nelle organizzazioni mafiose, la scelta dei legali compete notoriamente ai vertici!
-L’imprenditore Gianni Andreotti, persona offesa nel tentativo di estorsione operato da Maurizio Pellegrino e Rocco De Marte, racconta di essersi rivolto a Ciccio Barilaro, in quanto capo, per farli desistere.
-Quando vengono sottoposti a misura cautelare i Pellegrino, Michele Ciricosta si reca in Calabria per “vedere il capo e vedere come fare qua”. Ciò dimostra inequivocabilmente il legame solido tra cosche, il ruolo apicale del Ciricosta, l’inserimento Pellegrino nel contesto ‘ndranghetistico (a Ciricosta, non a caso, sequestrano addirittura la formula del rito di affiliazione, occultata in una scarpiera!).
Tra l’altro, Giuseppe Commisso e Mimmo Belcastro (entrambi già condannati per 416-bis c.p. nel processo Crimine), intercettati in una lavanderia a Siderno, parlano proprio dell’arrivo di Ciricosta, nonché delle elezioni regionali…liguri!
-Barilaro Fortunato e Francesco, Pepé e Ciricosta (oltre a Gangemi e Garcea) sono ad Alessandria per l’investitura di Caridi e Maiolo, che ricevono le “doti”.
-Nella Riunione di Giambranca di Bordighera (17.1.10) ancora troviamo Belcastro, Pepé, Ciricosta, Gangemi, Garcea, Pronestì, e i due Barilaro.
– Marcianò, intercettato al ristorante “Le Volte”, è inquieto per le indagini in corso e afferma testualmente: “Parlano dei nomi di chi comanda, di chi ha le cariche…dalla Madonna della Montagna fino in Francia! Tutti i nomi giusti”.
– Costagrande Carmelo, pericoloso latitante, nel 2007 fu ospitato da Maurizio Pellegrino (già condannato per favoreggiamento personale aggravato)
– A casa di Roberto Pellegrino, viene rinvenuto un nascondiglio nell’intercapedine di un muro, rifugio con meccanismo rotante.
“Tutti i fatti e le vicende sopra riportate dimostrano l’esistenza a Bordighera di un gruppo di soggetti:
a) provenienti da zone ad alta densità ‘ndranghetistica della Calabria
b) che si riunivano e partecipavano a cene od altri eventi nel corso dei quali si trattavano questioni di ‘ndrangheta;
c) che ospitavano latitanti di ‘ndrangheta;
d) che avevano contatti con esponenti di spicco della ‘ndrangheta calabrese;
e) che comunicavano tra loro con le modalità tipiche della ndrangheta calabrese;
f) che rispetttavano ruoli gerarchici e interpellavano soggetti sovraordinati prima di intraprendere scelte, evidentemente involgenti interessi meta-individuali”.
Poi si passa ad analizzare il concreto utilizzo del metodo mafioso: “E’ emerso come tale organizzazione abbia gradatamente acquisito una sua autonoma capacità criminale e sia risultata capace di sprigionare sul territorio una propria forza di intimidazione in grado di creare e sfruttare una condizione di assoggettamento e di omertà…Il quadro che è emerso all’esito del processo […] è tale da consentire di affermare che da anni nella zona di Bordighera il gruppo che vede oggi imputati alcuni esponenti delle famiglie Pellegrino e Barilaro ha costituito un’associazione per delinquere operante con metodo mafioso (e specificamente ‘ndranghetistico)”.
Ma nel processo La Svolta c’è anche di più: siamo in presenza, infatti, di numerosi delitti scopo (estorsioni, incendi, minacce) che non sarebbero già richiesti ai fini della contestazione del 416-bis (che è pacificamente un reato di pericolo). Vediamoli nel dettaglio:
a) L’episodio più siginificativo è senza dubbio la tentata estorsione + lesioni nei confronti del titolare dell’agriturismo “Del Povero” a Seborga. Per tali fatti è già intervenuta sentenza irrevocabile di condanna a carico di Maurizio Pellegrino e Rocco De Marte.
Quest’ultimo eroga 2000 euro all’imprenditore Andreotti, che non riesce a restituire il prestito; per questa ragione subisce una visita, da parte dei due soggetti, che sfocia in un vero e proprio pestaggio (a colpi di attizzatoio). Dopodiché Rocco De Marte gli chiede 4000 euro, o in alternativa la gestione delle camere. Come se non bastasse, dopo qualche tempo Maurizio Pellegrino torna da Andreotti armato di mazza da baseball. Incontra, casualmente, tale Brunella Mocci, moglie del cuoco dell’agriturismo. In alcuni sms e telefonate, quest’ultima maledice letteralmente di essersi imbattuta in “uno dei Pellegrino”. Piange, si dispera al solo pensiero di dover deporre in un’aula… Manifesta paura per la propria incolumità fisica e scrive testualmente: “Ora quelli mi fanno fuori, è gente mafiosa”. Andreotti stesso non denunziò nulla. Anzi, sparì dalla circolazione per giorni!
Scrive il Tribunale: “Tali fatti dimostrano in modo quasi didascalico l’esistenza di una forza intimidatrice autonoma che il sodalizio del quale il predetto imputato fa parte era in gradi di esercitare sul territorio di Bordighera e dintorni”.
La già intervenuta sentenza di condanna del 24.11.2011 contiene passaggi significativi: “La condotta serbata dal De Marte il 31.10.2009 non fu la mera azione violenta di un creditore che mirava a recuperare il danaro prestato a chi non intendeva restituirglielo. Le parole pronunziate dal De Marte al momento della aggressione posta in essere contro l’Andreotti (“e allora mi dai 4000 euro o la gestione delle camere”) assumono un significato assai più preoccupante e serio. Quel “e allora” non va interpretato come una reazione rabbiosa di un creditore verso chi ha la sfrontatezza di negargli quanto gli è dovuto, ma come la già deliberata e pronta attuazione di un proposito criminale volto ad utilizzare il prestito inadempiuto di una (tutto sommato) esigua somma di denaro per conseguire anche con la violenza, se necessario, un consistente ed ingiusto profitto. Il metodo e le finalità perseguite appaiono quelle tipiche di realtà nelle quali le organizzazioni criminali (mafiose e non), per investire capitali di provenienza illecita, per riciclare denaro sporco etc. erogano ad imprenditori (specie che non possono accedere al credito ordinario) prestiti apparentemente convenienti, con lo scopo di mettere le loro mani su attività economiche in precedenza gestite da soggetti in stato di decozione”.
b) La seconda vicenda icastica concerne gli incendi dolosi appiccati ai mezzi delle ditte Tesorini e Negro, aziende rivali nel movimento terra. La “F.lli Pellegrino” lavorava molto a Bordighera, potendo contare sugli ottimi rapporti con l’amministrazione comunale (si veda infra). Poi però iniziano i guai giudiziari: arrivano i primi arresti, sicché – sfruttando la momentanea detenzione dei Pellegrino -la Tesorini si “permette” di eseguire alcuni appalti.
Tra fine 2011 e inizio 2012 si verificano puntualmente incendi dolosi: Calvini e Bonomo gli autori, Pellegrino Roberto il mandante. Occorreva “punire” le aziende rivali. Calvini racconta di essere stato pagato con droga! Elemento sintomatico degli affari della cosca.
c) Traffico di droga: Maurizio e Roberto sono accusati di importazione, detenzione, cessione di stupefacenti (dalla cocaina all’hashish) e di altri reati per cui è già stata emessa condanna. Giovanni Pellegrino ha un precedente addirittura per il reato associativo ex art. 74 d.p.r. 309/1990! Gli accertamenti patrimoniali, del resto, rilevano ingenti e ingiustificate disponibilità che solo la droga può procurare (oltre 300 mila euro accumulati nel biennio 2007-2009).
Tali reati evidenziano l’agire con metodo mafioso e, nel contempo, rafforzano il prestigio criminale e la solidità economica dell’organizzazione.
d) Maurizio e Roberto Pellegrino rispondono anche di detenzione e porto di armi (due pistole semiautomatiche). Non a caso il Tribunale ritiene armata (a’ sensi dell’art. 416 bis, co. IV-V) l’associazione mafiosa di Bordighera.
Roberto era già stato condannato definitivamente per detenzione armi da guerra da minorenne! E già allora, nella sentenza, si faceva espresso riferimento al suo utilizzo/inserimento in organizzazioni criminali, la “famiglia Pellegrino” appunto, che il pm all’inizio anni ’90 individuava come nota e famigerata. Più di recente, è stato condannato in primo grado per l’acquisto di una beretta e di una carabina. Michele Pellegrino invece, assolto dal Tribunale di Imperia per il reato associativo, può vantare una risalente condanna per detenzione proiettili di armi da guerra, gelatina esplosiva, tritolo.
e) Dal procedimento emerge chiaramente l’intimidazione esercitata. Si sono verificate minacce ad appartenenti alla polizia giudiziaria:
-Roberto Pellegrino si rivolge così all’ispettore Rocco Magliano “Ti scanno, so dove abiti, ti vengo a prendere quando voglio”; Giovanni Pellegrino rincara la dose e chiama lo zio del poliziotto: “Se per caso toccano un capello a mio fratello, gli stacco la testa a tuo nipote”.
– Antonino Barilaro, in seguito all’arresto del fratello Francesco, se la prende invece con il M.llo Cotterchio, al quale “avrebbe sparato alla testa con una pistola, a costo di farsi l’ergastolo” (fatto per il quale è già stato condannato a 10 mesi).
Poi ci sono le minacce al giornalista Tenerelli, che Giovanni Pellegrino apostrofa in questi termini: ”Se non scrivi cose giuste ti taglio le dita della mano”.
Oltre alla finalità delittuosa, ad avviso del Tribunale il gruppo di Bordighera perseguiva anche le altre finalità suggerite dalla norma.
–la finalità economica: dell’obiettivo di rilevare l’agriturismo del Povero si è già parlato, come della gestione del lucroso movimento terra. Occorre aggiungere che Giovanni Pellegrino gestiva il noto night club “La Grotta del Drago” e che la famiglia, in generale, spendendo il nome (meno compromesso) di Lucia Pepé (moglie di Maurizio Pellegrino), mirava ad aprire una Sala giochi Bordighera. Per vincere le resistenze di una parte dell’Amministrazione un po’ scettica, Giovanni Pellegrino e Francesco Barilaro minacciano “a domicilio” gli assessori Sferrazza e Ingenito (fatti per i quali sono andati a processo per minaccia a corpo amministrativo ex art. 338 c.p.). Nell’occasione Giovanni esclamò icasticamente: “Quando avete avuto bisogno dei nostri voti Noi ve li abbiamo dati…”
-la finalità politico-elettorale: “Le scelte politico-amministrative possono influire in modo importante sul consolidamento e sull’espansione di tali organizzazioni criminali”, scrive il Tribunale. Si stringono legami do ut des, i politici assumono un vincolo di mandato verso le organizzazioni che li sponsorizzano, organizzando cene elettorali e convogliando i pacchetti di voti.
Giovanni Pellegrino è il “politico” della famiglia: è presente anche all’inaugurazione di “U Fundegu”, un locale, con il Vice Sindaco Jacopucci. Sostiene attivamente alla Camera Eugenio Minasso, poi eletto, e già consigliere regionale. Giovanni Pellegrino stesso si fa la tessera di AN! Invita amici a tesserarsi, si mobilita in occasione dell’arrivo di Fini a Imperia il 30.10.2005. Poi al telefono con Minasso: “Fini è un grande…e anche tu bel discorso”. Minasso ammise del resto l’aiuto della famiglia Pellegrino nelle campagne elettorali, ci sono foto che li ritraggono felici e abbracciati.
Marcianò critica questo modo di fare, ostentato, visibile dei Pellegrino: “Sono cretini. Con me non mi hanno mai visto nessuno uscire di qua. Qua ha fatto Scajola, ha fatto…tutti qui..Minasso”. Come dire che anche Marcianò conosceva tutti i politici della zona, ma si muoveva nell’ombra, lontano dai giornalisti.
Una volta raggiunta l’elezione del politico amico, i malavitosi “passano all’incasso”: “le scelte politiche verranno indirizzate in modo da agevolare o non ostacolare le attività illecite del gruppo criminale a cui si deve la propria fortuna politica”.
Il riferimento era senz’altro Bosio su Bordighera (sindaco per due mandati, sino allo scioglimento per condizionamento mafioso); tra i tanti episodi emblematici, va ricordata una cena a “Le Volte”, il ristorante di Marcianò, nel 2010, pro Bosio, col gotha delle ‘ndrine.
Al meeting di Giambranca, invece, i vertici della ‘ndrangheta ligure parlano di A. Saso: Gangemi viene anche intercettato direttamente al telefono con lui, si incontrano anche fisicamente!
Ma in ultima analisi, come si prova la “partecipazione al sodalizio mafioso” ex art. 416-bis? L’insuperato punto di riferimento è la “organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare più che un ruolo statico di appartenenza, un ruolo dinamico, funzionale…Tale ruolo non richiede una formale affiliazione, potendo adeguatamente sostanziarsi nella disponibilità verso l’associazione per i fini criminosi che ne costituiscono l’oggetto” (Cass. Sez. Un. Mannino, 2005).
Correttamente, poi, il Tribunale risolve l’apparente contrapposizione tra modello causalistico e organizzatorio: la seconda teoria non esprime altro che la regola di comune esperienza per cui il dato formale dell’affiliazione e del conferimento di ruoli nell’ambito dell’associazione fanno presumere la concreta disponibilità del soggetto a prestare la propria attività in favore del sodalizio. Nel caso del gruppo di Bordighera il Tribunale non ha dubbi: “Il compito è stato facilitato dal fatto che, in relazione a tutti gli imputati ritenuti partecipi, erano ravvisabili elementi dinamici. Vale a dire che ciascuno dei condannati per i reato di cui al capo A bis è risultato aver preso parte all’associazione mafiosa e non semplicemente “essere stato parte”. A carico di ciascuno sono stati individuati delitti-scopo commessi quali membri dell’associazione e, pertanto, condotte operative il cui contributo al rafforzamento del sodalizio è risultato effettivo”.
Eppure, per la Corte d’Appello il fatto non sussiste.