Condividi questo contenuto

Ma questa ‘ndrangheta, in Liguria, c’è o non c’è? Come orientarsi tra le più recenti pronunce giudiziarie sul tema, che restituiscono un quadro incoerente, quando non apertamente contraddittorio? E ancora: come si conciliano i dati di fatto, la comune esperienza ed il senso di giustizia di un cittadino, con le severe regole in tema di prova e garanzie che presidiano il processo penale? Sono alcune delle domande a cui ha provato a rispondere il confronto/dibattito di sabato 16 aprile nella barocca Sala Rossa del Palazzo del Comune di Savona, proposto dal coordinamento cittadino di Libera.  “Mafie in Liguria. Facciamo il punto” il calzante titolo dell’incontro, con due relatori d’eccezione: Paolo Luppi, giudice imperiese presidente del collegio che ha emesso le storiche condanne per 416 bis, nel processo La Svolta; e Luca Traversa, fondatore e responsabile dell’Osservatorio “Boris Giuliano” sulle Mafie in Liguria. Due ore intense e approfondite, segnate da un dialogo aperto tra i due relatori e tra questi e il pubblico, e un confronto che dal tema iniziale è andato gradualmente a coprire argomenti di respiro più ampio: la qualità della politica, la cittadinanza attiva, l’istruzione come argini ed antidoti al proliferare dell’humus mafioso.

Il dato di partenza è il seguente: le più recenti sentenze sulle mafie in Liguria hanno sollevato una cortina di fumo, più che rendere il cielo limpido. Lo scenario che descrivono è frammentato, tendenzialmente riduttivo e quasi ‘negazionista’. La ‘ndrangheta, a leggerle, sembra non abiti tra Ventimiglia e Sarzana, o comunque vi operi sporadicamente, in tono minore, senza esibire appieno quella “forza di intimidazione” e quelle condizioni di “assoggettamento e omertà”, che è necessario dimostrare per parlare di mafia in un’aula di tribunale. Lo spiega bene l’avvocato Alberto Russo, di Libera Savona, aprendo l’incontro: “A questo punto è diventato difficile capire quali sono i fatti accertati. A Genova una sentenza appena confermata in Appello ha detto che la ‘ndrangheta non esiste, o almeno che la sua esistenza non è dimostrabile processualmente.” Il riferimento è al processo Maglio 3, che ha visto la conferma in secondo grado delle assoluzioni ai 10 presunti boss della ‘ndrangheta genovese perché il fatto non sussiste. Per quanto riguarda il ponente, invece, la stessa Corte d’Appello di Genova ha ridimensionato il verdetto emesso in primo grado dal Tribunale di Imperia nel processo La Svolta, confermando in sostanza l’esistenza di una locale di ‘ndrangheta con sede a Ventimiglia, ma assolvendo in toto i soggetti accusati di far parte della seconda locale, quella di Bordighera, anche qui perché ‘il fatto non sussiste’.

Paolo Luppi è stato il presidente dell’organo giudicante imperiese e l’estensore, assieme ai colleghi Bonsignorio e Botti, della sentenza riformata. Ha un fare spigliato e vivace, il tono leggero e quasi distratto, ma si percepisce la passione che lo anima mentre parla del suo provvedimento. Sentenza che per la prima volta ha riconosciuto, sul territorio ligure, l’esistenza di un’associazione rispondente ai caratteri richiesti dall’art. 416 bis c.p.: norma vaga e generica, come spiega il giudice. L’associazione è di tipo mafioso “quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della forza di assoggettamento e di omertà che ne deriva”, recita il comma terzo. La commissione di delitti, quindi, oltre ad essere il fine del sodalizio, è anche intuitivamente il mezzo attraverso il quale esso espande e consolida il proprio potere sul territorio: ma paradossalmente, aggiunge Luca Traversa, “quello previsto dal 416 bis è un reato di pericolo, che anticipa la tutela penale rispetto al verificarsi di un danno giuridico vero e proprio”. In parole semplici, non c’è bisogno che il mafioso ammazzi, estorca o minacci, per essere definito tale: quel che conta è l’esistenza del vincolo associativo, e il fatto che questo abbia generato un alone di intimidazione diffuso. Ma è possibile concepire l’esistenza di un tale potere, slegato dai cosiddetti “reati fine”, cioè quelli alla cui commissione il sodalizio è votato? “Essere ‘ndranghetisti”, insomma, equivale a “fare gli ‘ndranghetisti”? Oppure no, come il GUP di Genova ha sostenuto nel primo grado di Maglio 3? È questo il problema di diritto al centro di tutti i problemi di mafia, e che, nel caso ligure, ha reso difficile e infruttuoso il lavoro dei pubblici ministeri.

Luppi prova poi a dare un’interpretazione del perché le organizzazioni mafiose abbiano attecchito così in profondità nel suo territorio, l’imperiese: “La sostituzione dell’organizzazione allo stato è il dato che accomuna quasi tutte le mafie. Laddove lo stato è più debole, la coscienza politica è minore, le mafie hanno la possibilità di fiorire. Non è un caso che la provincia di Imperia, un territorio in fin dei conti poverissimo, sia stata colonizzata da un nucleo di ‘ndrangheta tra i più importanti del Nord Italia, e senza dubbio il più significativo della Liguria”. L’infiltrazione del territorio è tale che, secondo l’ipotesi accusatoria, la locale di Ventimiglia fungeva da camera di compensazione, una sorta di organo giurisdizionale in salsa mafiosa con il compito di dirimere le controversie tra le varie ‘ndrine del ponente ligure. Ma se nelle aule di giustizia, per i motivi più vari, non si è ancora riusciti a debellare questo cancro, possono in qualche modo farlo i cittadini nella loro vita di tutti i giorni? Il giudice affronta la questione con entusiasmo, prendendo spunto dalla domanda di una ragazza che dalla prima fila chiede: “cosa intende lei per coscienza politica?”. Luppi, con gli occhi che brillano, parte dalla sua adolescenza, nel bel mezzo degli anni ’70, quando le assemblee studentesche e il confronto politico nei licei erano all’ordine del giorno. “Se un giovane non capisce la bellezza della politica, della partecipazione alla cosa pubblica, è più facile che rimanga affascinato dal prestigio criminale dell’essere organico ad un clan. E di certo non aiuta lo sconfortante livello della classe politica attuale, né il fatto che rappresentanti delle istituzioni invitino addirittura ad astenersi dal voto”, aggiunge, con sferzante riferimento all’attualità. Un confronto, insomma, bello e serrato, che ha dato una grande carica a noi dell’Osservatorio, a Libera e a tutte le associazioni e i cittadini che hanno partecipato, per andare avanti, passo dopo passo, sulla nostra strada, per la costruzione di un mondo migliore.