Condividi questo contenuto

Savona, Liguria, 27 Luglio 2022.

Come puntualmente riportato dalle pagine dei quotidiani, nella giornata di ieri la squadra mobile della città di Savona, coordinata dalla DDA di Genova, ha tradotto in carcere Pietro Fotia, membro dell’omonima famiglia, in applicazione della custodia cautelare disposta dal GIP di Genova per il reato di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.).

In particolare, come riportato nell’ordinanza applicativa della misura, Pietro Fotia avrebbe interferito nella procedura esecutiva avente ad oggetto l’immobile già di proprietà del fratello (Francesco Fotia) proferendo diverse minacce ai soggetti interessati all’acquisto dell’appartamento ed in tal modo integrando proprio la condotta descritta dal codice penale.

Tuttavia, l’elemento davvero di risalto della vicenda consiste nella contestazione dell’aggravante del metodo mafioso (art. 416-bis.1 c.p.) ricorrente nel caso in cui venga commesso un delitto avvalendosi delle condizioni tipiche dell’associazione mafiosa (forza di intimidazione del vincolo associativo; condizione di assoggettamento e di omertà).

Più di preciso, si ritiene in giurisprudenza che per la contestazione della citata aggravante sia necessario che il soggetto agisca “evocando la contiguità con l’associazione mafiosa ed ingenerando nella vittima una condizione di assoggettamento”.

Ed infatti, puntualmente, dall’ordinanza applicativa della misura emerge che Fotia avrebbe “sfruttato consapevolmente la fama che lo accompagna“, facendo espresso riferimento alla famiglia (FOTIA), “nota nel Ponente ligure ” – scrive il GIP – “per fatti di mafia“, e rappresentando alle vittime di aver avuto “50 processi penali pur restando incensurato (come per far comprendere che fosse intoccabile persino dall’autorità giudiziaria)”.

Ancora, il GIP ha evidenziato la necessità di leggere l’atteggiamento minatorio dell’indagato in uno con quello del fratello Francesco (proprietario della casa esecutata) il quale “mostrava l’appartamento all’interno del quale erano esposti in bella mostra articolo di giornale relativi a condanne, arresti e sequestri aventi come destinatari i membri della famiglia FOTIA“, articoli che altro scopo non avevano se non quello di “incutere timore nei soggetti che visionavano gli appartamenti, scoraggiandoli dal presentare offerte“.

E non è tutto.

Nell’ordinanza il GIP riporta infatti le dichiarazioni rilasciate dal titolare di un’associazione presso la quale Fotia Pietro aveva svolto il periodo di “messa alla prova”.

Nel dichiarare di aver inviato all’autorità giudiziaria false segnalazioni circa il buon esito della messa alla prova, il titolare dell’associazione ha infatti confessato di averlo fatto per paura; perché “quando ho visto scendere FOTIA dalla macchina mi si è gelato il sangue”; perché “mi chiedeva sempre come stessero la mia famiglia e i miei cani”; perché “avevo paura di trovare nel mio campo le teste delle pecore addobbate con l’alloro.”

Ciò consente di confermare l’indubbia caratura criminale dell’indagato, già sottoposto a molteplici procedimenti nel corso dei quali è stato  ritenuto il “punto di riferimento nell’ambiente della criminalità organizzata nel ponente“.

Di conseguenza, non può che concludersi per la contestazione dell’aggravante in parola, avendo il FOTIA PIETRO evocato la contiguità ad un’associazione mafiosa, ed in particolare la contiguità alla ‘ndrangheta.