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Nel luglio 2020 il Tribunale di Palmi si è pronunciato, nel giudizio ordinario di primo grado, in merito alle risultanze dell’operazione cd. “Alchemia“, avviata nel 2016 dalla DDA di Reggio Calabria e che già nel 2018 aveva condotto, in rito abbreviato, a delle importanti condanne poi confermate in appello nel febbraio 2020: su tutte, spiccano quella di Antonino Raso, condannato a 8 anni (poi ridotti 6 anni e 8 mesi) e quella di Fabrizio Accame, condannato alla pena di 8 anni e 8 mesi (poi ridotti a 8 anni e 2 mesi), entrambi dichiarati colpevoli del reato di associazione di tipo mafioso, in quanto considerati affiliati alla ritenuta cosca ‘ndranghetista Raso-Gullace-Albanese, originaria di Cittanova e operante anche e soprattutto nel ponente ligure.

In particolare, a suo tempo, Accame era stato ritenuto il “braccio destro” di colui che, nel successivo giudizio ordinario di I grado qui in commento, è stato riconosciuto come promotore e referente della cosca, con ruolo direttivo e di comando: si tratta di Carmelo “Nino” Gullace, “ligure di adozione” (vive infatti a Toirano) e che il Tribunale di Palmi ha condannato alla pena di 18 anni per associazione di tipo mafioso. La stessa sorte è toccata a Gullace Francesco (condannato ad anni 15) fratello di Carmelo e ritenuto intraneo alla cosca, mentre degli altri dodici soggetti ritenuti anch’essi intranei dall’accusa dieci sono stati assolti per non aver commesso il fatto e due (Grutteria Marianna e Sofio Orlando, peraltro da poco raggiunti da misura di prevenzione) sono stati condannati per il meno grave reato di “associazione per delinquere” relativamente solo ad alcuni punti del capo di imputazione.

Attendendo dunque la conclusione del procedimento d’appello, iniziato proprio questa mattina [6 ottobre 2021] vediamo quali sono le risultanze a cui è giunto il Tribunale di Palmi nella sentenza di I grado. Dopo aver riqualificato, come anticipato, la condotta di Sofio e Grutteria nel meno grave reato di associazione per delinquere, evidenziando in particolare come Sofio mai abbia fatto ricorso a violenza e intimidazione (e dunque, al metodo mafioso) per imporre ai consorzi le loro società, i Giudici passano ad analizzare la posizione dei fratelli Gullace, residenti l’uno (Carmelo) in Liguria e l’altro (Francesco) a Cittanova, paese quest’ultimo che ha dato i natali ad entrambi e con cui Carmelo continuerebbe a mantenere, secondo il Tribunale, contatti stabili.

Quanto alla posizione di Carmelo Gullace, il Tribunale evidenzia come dall’indagine emerga una sua costante presenza, ora come “accompagnatore“, ora come “mediatore” (delle controversie imprenditoriali) ora come “terminale informativo” (degli episodi di pentimento di ‘ndranghetisti), nelle vicende che riguardano gli altri imputati; e ciò si verifica nonostante il Gullace sia, scrive il Tribunale, uomo di poche parole, in quanto ritenuto “ben consapevole di essere intercettato“.

La figura di Gullace, secondo i giudici di primo grado, rappresenta un vero e proprio punto di riferimento per i reggini orbitanti attorno al territorio di elezione di Gullace (la Liguria): sintomatico, a tal proposito, sarebbe il fatto che i suoi interlocutori si premurino di metterlo costantemente al corrente dei loro affari e che siano, in alcuni casi, addirittura intimiditi dalla sua presenza.

Non da meno l’influenza che la famiglia Gullace continuerebbe ad esercitare anche nel territorio d’origine, dato che, sottolinea il Tribunale, anche a Cittanova Carmelo è la persona a cui ci si rivolge, per il tramite del fratello Francesco, per la risoluzione di contrasti fra imprenditori e al quale giungono le comunicazioni relative a “sgarbi e trascuranze” dei sodali.

Tutto ciò, nella visione del Tribunale, non può risolversi in un mero aspetto folkloristico, ma è indicativo dello spessore e della “fama criminale” dei fratelli Gullace. Indicativa, sul punto, è la richiesta di autorizzazione all’avvio di un’attività che un imprenditore agricolo calabrese avanza, sotto l’influenza di una “cappa intimidatoria“, a Gullace Francesco, in qualità di rappresentante del fratello Carmelo sul territorio calabrese: la richiesta avanzata dall’imprenditore mirava, come emerso in dibattimento, ad evitare ritorsioni; e questo perché – testimonia l’imprenditore – “su quel terreno, se non vogliono loro (i Gullace) non si muove una foglia“.

Peraltro, il Tribunale evidenzia  come l’autorizzazione non fosse affatto sufficiente per avviare e portare avanti l’attività: secondo la ricostruzione del Collegio, infatti, dalle intercettazioni emergerebbe chiaramente una richiesta di denaro avanzata dai Gullace in danno dell’imprenditore, pena la sospensione dell’attività agricola (“altrimenti, da dove sei venuto, te ne vai.); richiesta di denaro che, sottolinea il Collegio, non è nemmeno determinata nell’ammontare, a dimostrazione del fatto che i Gullace avessero avanzato una richiesta non fissa, ma da parametrare agli utili dell’impresa nel frattempo avviata (“se te la vuoi passare bene…regolati tu“).

L’alternativa al pagamento della somma, che i Gullace richiedono con molta insistenza (“vedi che cazzo devi fare per darmi i soldi“) alludendo in proposito alle incombenti spese da sostenere per l’assistenza legale di altri sodali (“19 anni [..] gli avvocati vanno pagati“) è molto semplice: l’acquisizione diretta delle quote della cooperativa agricola, che in un dialogo con Francesco Gullace l’imprenditore si dice disposto a cedere: “Ciccio ci sediamo e ne discutiamo anche con tuo fratello [..] l’importante è stare attenti, che ci vedono, ci fanno le fotografie e ci fanno il culo, e tu lo sai, non c’è bisogno che te lo dico“.

Sulla base di queste risultante, conclude il Collegio, è possibile desumere come i fratelli Gullace abbiano avanzato le richieste estorsive non già “a titolo personale”, bensì in quanto “rappresentanti della Cosca di appartenenza [..] sodalizio con fortissimo radicamento territoriale e connotato da una solida base familiare” e cui è dovuto un dazio allorquando altri desiderino sfruttare territori “da sempre calpestati dai Gullace – Raso – Albanese e dal loro bestiame”. Agli occhi della cosca – concludono i Giudici – se qualcuno si appropriasse di un territorio che essa considera suo senza però corrisponderle un utile, ciò darebbe luogo ad uno “smacco suscettibile di mettere in discussione la cosca stessa“, specie quando ci sono “avvocati da pagare e sodali in vinculis (detenuti) da assistere“.

Tralasciando per un momento le pagine della motivazione della sentenza di primo grado, non può poi farsi a meno di ricordare quanto emerso durante le indagini del procedimento “la Svolta” sulla ‘ndrangheta a Bordighera e Ventimiglia: in particolare, fra le molteplici intercettazioni contenute nella richiesta di custodia cautelare a suo tempo avanzata dalla DDA di Genova, ne spicca una in cui Giuseppe Marcianò (condannato nel processo “la Svolta”) racconta ad un suo interlocutore che, durante un funerale, è stato avvisato da “Ninetto di prestare attenzione al suo ristorante, dato che era monitorato dalle forze dell’ordine. Secondo gli inquirenti, quel “Ninetto” è sicuramente Carmelo Gullace. Questo aspetto, fermo restando che si tratta di una supposizione della pubblica accusa, assume rilievo specie se si considera che, come più volte rimarcato, la ‘ndrangheta in Liguria è un fenomeno unitario, nel senso che le diverse cosche accertate e in via di accertamento sul territorio risultano fra loro collegate in un complesso mosaico criminale.

Una considerazione finale è d’obbligo; come anticipato in apertura, su quattordici soggetti imputati ex art. 416-bisquindi ritenuti dall’accusa esponenti a vario titolo della cosca Raso-Gullace-Albanese, solo due sono stati raggiunti dalla relativa condanna per associazione di tipo mafioso, in quanto ritenuti promotori dell’omonima cosca: una cosca che, tuttavia, se non si considerano le condanne registratesi nel rito abbreviato, stando alle risultanze del giudizio ordinario ad oggi risulta senza “sodali”. Situazione, questa, abbastanza anomala, e che sicuramente non risulterà nuova agli occhi di chi segue con attenzione le vicende della ‘ndrangheta in Liguria, posto che anche nel processo “Maglio 3″ i “sodali” genovesi vennero inizialmente assolti nonostante la condanna del loro riconosciuto e conclamato capo (Domenico “Mimmo” Gangemi), pur essendo questa intervenuta in n diverso processo (“Crimine”) e fermo restando che, dopo l’annullamento delle assoluzioni da parte della Cassazione, anche i “sodali” sono stati successivamente condannati nel processo “Maglio 3”.

Non ci resta che attendere l’esito del giudizio d’appello, in programma davanti alla Corte d’Appello di Reggio Calabria e che ovviamente l’Osservatorio vi racconterà.

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In foto: Finale Ligure (SV) – ponente ligure. Photo by Niccolò Casagrande on Unsplash