A Milano, dal 14 al 16 marzo 2017, si è tenuto un evento tanto raro quanto stimolante: il primo seminario internazionale su Mafie e Anti-Mafia in Europa . L’evento, organizzato dall’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata (CROSS), ha raccolto un gran numero di esperti e accademici da tutta Europa ed è stato il primo mai organizzato sul tema in grado di permettere e promuovere un confronto diretto tra i movimenti anti-mafiosi e studi scientifici sviluppati nei diversi contesti accademici.
L’evento, che ha ospitato esperti provenienti da Polonia, Francia, Portogallo, Inghilterra, Danimarca Serbia, Germania, Belgio e Albania, ha avuto come obiettivo quello di porre le basi per la creazione di un pensiero accademico comune a livello europeo, espressivo delle manifestazioni territoriali e culturali che sono state messe in luce da studi e ricerche negli anni passati . Tale obiettivo ci porta quindi ad una prima ed importante considerazione: le mafie non sono un fenomeno marginale o irrilevante, né sono un problema limitato ai soli paesi d’origine. Le comunità accademiche, interrogandosi sugli aspetti culturali di questi fenomeni criminali, hanno collaborato attivamente con i movimenti antimafiosi in ambito europeo, permettendo non solo una maggior conoscenza del fenomeno, ma contribuendo anche ad una presa di coscienza civile che è cresciuta negli ultimi anni assieme alla sensibilità riguardo un fenomeno tanto antico quanto relativamente nuovo a indagini e studi.
Il seminario ha permesso di confrontare situazioni geopolitiche che, seppur completamente differenti, hanno visto reazioni istituzionali, sociali e mediatiche simili di fronte al crimine organizzato. Nell’ex blocco sovietico, come ricordato dal professor Bielanski , le autorità ricollocavano interi gruppi criminali in aree considerate povere, distanti sia dai grandi agglomerati urbani sia dall’azione repressiva dello Stato.Tali trapianti comportarono un rafforzamento dei gruppi criminali che poterono crescere ed intrecciare relazioni con altri gruppi relativamente indisturbati. Una simile soluzione non è estranea al caso italiano: durante il secolo scorso le autorità italiane ricollocarono sul territorio nazionale numerosi esponenti di cosche mafiose, allontanandoli sì dalle città d’origine ma contemporaneamente avvicinandoli ad altri importanti capi cosca e di conseguenza contribuendo paradossalmente alla crescita di tali organizzazioni e della loro influenza.
Le reazioni sociali includono l’insieme di erronei pregiudizi riguardo la non appartenenza della mafia né al proprio territorio né alla propria storia e alla conseguente impossibilità per essa di espandersi in una determinata area geografica. Tali pregiudizi contribuiscono ogni giorno a distorcere la percezione del crimine organizzato e del loro potere nel tessuto sociale, costituendo ostacolo non solo, come sottolineato dal professor Rizzoli , al dibattito accademico ma alimentando anche l’ignoranza nella popolazione e fra i media riguardo il problema del crimine organizzato. In un contesto sociale in cui simili pregiudizi sono forti si avranno inchieste giornalistiche confusionarie o assenti sul tema e movimenti antimafiosi che non riescono a trovare seguito nella popolazione civile, dalla quale dovrebbe in primo luogo provenire la volontà di combattere il crimine organizzato.
Dove non esiste consapevolezza della pericolosità e della presenza del crimine organizzato, non può esistere un movimento civile che la combatta efficacemente, e un contesto sociale in cui tale consapevolezza è debole nascono più facilmente imprese commerciali che approfittano della forza evocativa del brand “mafia” per attirare clienti, speculando su modelli devianti e quantomeno pericolosi .
Per un efficace movimento antimafioso a livello europeo alcuni autori hanno sottolineato il ruolo fondamentale svolto dal ricordo delle vittime di mafia: la memoria guida l’impegno sociale, permette di trasmettere delle esperienze che costituiscono la base per una cultura della legalità.
E tuttavia, nonostante gli indubbi sforzi e risultati conseguiti dalle associazioni antimafiose, in ambito europeo Libera ha avuto non poche difficoltà nel coinvolgere efficacemente la cittadinanza come in Italia. Queste difficoltà, come sottolineato dalla dott.ssa Vantorre, sono dovute a una cultura antimafiosa europea scarsa se non del tutto assente. Una debole cultura antimafiosa influenza anche l’ambito giuridico, nel quale paesi mancano di pene severe contro o non contestano affatto reati come l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Miglioramenti sia sul versante dell’impegno sociale sia sul versante istituzionali sono tristemente occorsi solo in seguito ad atti spregiudicati da parte della criminalità organizzata, come la strage di Duisburg del 2006 in seguito alla quale l’impegno antimafioso in Germania crebbe notevolmente , così come in Italia si cominciò timidamente ad ammettere l’esistenza della mafia solo in seguito al maxiprocesso di Palermo e all’era delle stragi dei Corleonesi.
In conclusione il primo seminario internazionale sulle mafie e l’anti-mafia in Europa è stato un evento estremamente stimolante, che ha permesso la condivisione di prospettive di studio provenienti da tutta Europa e che ha di conseguenza permesso di mettere le basi per un pensiero comune che si auspica possa un giorno guidare l’azione di una antimafia europea, che possa appartenere ad ogni paese europeo senza richiedere “morti eccellenti” per la sua diffusione.