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Il 21 marzo a Sarzana si è tenuto, in occasione della Giornata regionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, il seminario “Non solo mafie: reti criminali e corruttive in Liguria”.

Dott. Michele Di Lecce, già Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova.

Tra le tradizionali organizzazioni di tipo mafioso oggi è la ‘ndrangheta ad aver prevalso per capacità di penetrazione e come presenza nei territori nazionali ed internazionali. Il metodo che utilizza è sempre lo stesso: la capacità di penetrare nei sistemi economici e sociali, facendo ricorso solo marginalmente alla violenza. Utilizza il metodo corruttivo-collusivo, assumendo soprattutto il controllo economico. E’ un sistema che si identifica con un non-stato, ma non lotta traumaticamente contro lo stesso. Dal punto di vista organizzativo ha una struttura familiare, verticistica ma molto flessibile ed articolata sul territorio. Fuggendo da strutture rigide riesce a penetrare meglio nelle realtà, partendo dal basso, tramite l’acquisizione di “piccoli” appalti per la realizzazione di opere e di servizi pubblici ed espandendosi fino ad arrivare a controllare l’economia legale. Oggi la ‘ndrangheta costituisce un’“alternativa utile” per personaggi estranei all’organizzazione, creando così relazioni con “insospettabili”: pubblici dipendenti, amministratori locali, politici, imprenditori e professionisti che si avvalgono più o meno consapevolmente ed occasionalmente dei servizi forniti dall’organizzazione, che è diventata una vera e propria “agenzia di servizi” illegale per le imprese che ne rimangono poi vittime, tra omertà e complicità. La struttura familiare ha permesso di mantenere un’omogeneità di provenienza che la ha resa molto più impermeabile di altre organizzazioni rispetto all’attività dei collaboratori di giustizia. Ha un’enorme disponibilità di denaro che deriva in buona parte dal traffico di sostanze stupefacenti ed opera su un piano finanziario e organizzativo avanzato, non più solo acquisizione di ricchezze tradizionali come usura, estorsione, che permangono ma come marginali.

Dott. Francesco Cozzi, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova.

Come fonti di reddito per le organizzazioni criminali è sempre centrale il mercato degli stupefacenti, soprattutto di cocaina, con rotte provenienti soprattutto dal sud America. Anni fa giungevano al porto di Gioia Tauro; oggi vengono scelti porti della Liguria come Savona, Vado e Genova. A partire dal 2013 ci sono stati ingenti sequestri. Nel porto di  Genova sono stati sequestrati: nel luglio 2014 154 chili di cocaina collegati al clan Alvaro (RC); nel luglio 2015 165 chili collegati al clan Bellocco (RC); nell’ottobre 2015 130 chili con diversi soggetti condannati in primo grado tra cui Giuseppe Bellocco, latitante internazionale di appartenenza ‘ndranghetista. Nel 2016 sembra ci sia un rallentamento di questi traffici ma, in realtà, si sospettano cambiamenti di rotte. Nel novembre 2017 sulla nave “Carolina Star” vengono sequestrati 77 chili di cocaina e vengono arrestate cinque persone tra cui alcuni operatori del porto di Genova. Negli ultimi due mesi si scopre che la rotta interessa anche altri porti: sulla stessa “Carolina Star” a Livorno vengono sequestrati, a Marzo 2018, 200 chili di cocaina. La stessa nave giunge poi a Marsiglia, dove intervengono i sommozzatori trovando, sotto il livello del mare, 463 chili di cocaina. Parliamo quindi di quasi 900 chili in pochi mesi. Nel febbraio 2018 sulla nave “Dimitris” vengono sequestrati a Genova 297 chili. Confrontano le rotte possiamo dire che queste navi passano per Cile, Ecuador, Panama, Spagna, Livorno, Genova, Marsiglia: sono veri e propri mercati galleggianti, contententi grossi quantitativi che forse vengono venduti addirittura durante la navigazione, magari al migliore offerente. Da ottobre ad oggi sono dunque stati sequestrati oltre 1100 chili di cocaina pura che, tagliata, corrisponde a 120 milioni di euro.

Dott. Alberto Lari, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Imperia.

Indagare il riciclaggio di denaro e la presenza delle associazioni mafiose è un terreno più sfumato, al confine tra lecito e illecito. Le associazioni mafiose si avvalgono dell’intimidazione ma, per il resto, svolgono attività lecite. Il caso di Lavagna, giudiziariamente ancora da accertare, racconta i danni che può creare l’infiltrazione di un’associazione mafiosa nell’economia sociale, nel territorio e nella pubblica amminsitrazione. Dal punto di vista economico si inseriscono, tramite le attività di prestito, in attività economicamente sofferte, giungendo a sottrarle ai proprietari anche a fronte di prestiti di bassa entità, e tramite l’usura, da cui ottengono attività commerciali diversificate in cui possono essere poi riciclati i grossi capitali. Ad esempio la gestione di un appalto dei rifiuti urbani coinvolge non solo l’economia ma anche la politica. La gara è già “truccata”: le società non partecipano e l’unica che partecipa – e vince – offre un servizio più scadente a costi maggiori, creando anche evidenti problemi di inquinamento, in totale assenza di qualsiasi controllo. Altro ambito classico è il voto di scambio, in occasione delle elezioni del consiglio comunale. Se l’indagine prosegue, come in questo caso, anche dopo le elezioni, si riesce a dimostare – tramite le intercettazioni – come poi i favori vengono effettivamente ricambiati: con la continua proroga nella gestione dell’appalto dei rifiuti, con la non-esecuzione di ordini di demolizione di una veranda nel centro storico della città e ritenuta illegittima dal TAR, con i (non) controlli dei chioschi sul mare, effettuati d’inverno. Quando i lavori devono essere affidati urgentemente, questi vengono affidati con una telefonata del sindaco e solo successivamente sanati con una delibera. Un altro problema dell’infiltrazione nella PA è il ruolo del pubblico ufficiale; vi è una reale difficoltà del pubblico funzionario che deve fronteggiare una situazione di questo tipo. Cosa può effettivamente fare? Può reagire? Come viene tutelato?

Colonnello Sandro Sandulli, Direzione Investigativa Antimafia.

Per lungo tempo si sono alternati negazionismo osottovalutazione del fenomeno della presenza mafiosa, che ha visto protagonisti – quali imprenditori e politici – anche laddove si fa istituzionalmente contrasto. La ‘ndrangheta è presente dalla metà anni 50. Abbiamo un’intercettazione ambientale dove soggetti riconducibili ‘ndrangheta discorrono di una riunione tenutasi a Ventimiglia nel 1954; ciò indica una struttura organizzata sul territorio e una capacità di penetrazione e radicamento. A Sarzana ci sono stati episodi eclatanti, come nel 1965 una sparatoria tra soggetti calabresi e di Domodossola. Non si parlava di ‘ndrangheta; si faceva riferimento ad “un contesto ambientale calabrese che proietta al nord alcune usanze”. I soggetti coinvolti avevano legami parentali con peronaggi condannati per associazione mafiosa. Il reato di associazione mafiosa deve far emergere l’intimidazione, l’assoggettamento e l’omertà. Al nord siamo in realtà geografiche diverse. Questo manifestarsi c’è stato con la stagione degli attentati dinamitardi e poi con la stagione dei sequestri di persona, il cui ricavato è stato “investito” nel narcotraffico, rendendo la ‘ndrangheta il centro mondiale per il traffico di droga, con “uffici di rappresentanza” in Sud America, Usa, Canada, Australia, Nuova Zelanda.

La Liguria si è sempre contraddistinta come area di ricovero e di passaggio per latitanti che si dirigevano in Costa Azzurra. Arrivati poi i soldi del narcotraffico e dei sequestri, sono state avviate attività commerciali e imprenditoriali. Fino ad poco tempo fa le attività repressive non sono state significative. La prima indagine importante fu “Maglio 3”, che individuò il locale di Sarzana. Il Tribunale di La Spezia ha emesso misure di prevenzione qualificate nei confronti di soggetti inseriti o vicini e contigui all’ambiente mafioso. Importante l’operazione “Grecale ligure”, che ha individuato fatti di corruzione in cui erano coinvolti imprensitori, commercialisti, avvocati, professionisti. Si parla anche di attività espanse a Massa e Piacenza. La ‘ndrangheta è un fenomeno unitario; dunque bisogna guardare il quadro in maniera unitaria, come suggerisce la sentenza “Crimine”. La realtà mafiosa, aSarzana come nell’intera regione, deve rispondere necessariamente alla casa madre, alla Calabria, dove si fanno le scelte strategiche che si ripercuotono poi, sul territorio, nei gangli della realtà sociale quotidiana.