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Mancava circa un quarto d’ora alle 17 quando, tra i corridoi delle aule della Corte d’appello di Genova, dopo una lunga camera di consiglio, è giunto il verdetto tanto atteso: condannati.

Sono passati più di sette anni dal giorno in cui, il 27 luglio 2011, dodici persone furono raggiunte da un’ordinanza di custodia cautelare, in quanto accusate di far parte dei locali di ‘ndrangheta di Ventimiglia, Genova, Lavagna e Sarzana.

Si trattava dell’operazione denominata “Maglio 3”, condotta dall’allora pm della DDA di Genova Alberto Lari (oggi Procuratore Capo di Imperia) e dai Carabinieri del ROS di Genova, nata sull’onda dell’arresto, avvenuto a Genova su ordine della DDA di Reggio Calabria, di Domenico Gangemi e Domenico Belcastro, entrambi successivamente condannati in via definitiva per associazione di stampo mafioso, rispettivamente a 19 anni e 6 mesi e 6 anni, nel processo calabrese “Crimine”.

Da allora è cominciato un lungo e complesso iter processuale: dopo aver visto assolti tutti gli imputati di Ventimiglia, Genova e Sarzana, sia in primo grado (perché “essere ‘ndranghetista, soprattutto al di fuori della Calabria, non vuol dire necessariamente, in assenza di concrete dimostrazioni in fatto, fare l’ndranghetista”) sia in secondo grado (perché “le indagini hanno rivelato un mondo totalmente autoreferenziale, dove si disquisisce in modo causidico delle regole e si rimpiange il passato”), il 4 aprile 2017 la Suprema Corte ha annullato con rinvio le assoluzioni emesse precedentemente, ordinando un nuovo processo nei confronti dei soggetti accusati di far parte della ‘ndrangheta. Dal materiale probatorio raccolto, infatti, ad avviso dei Giudici della Cassazione, risultava evidente l’esistenza, in Liguria, di persone e strutture legate alla ‘ndrangheta calabrese, anche alla luce delle più recenti acquisizioni giurisprudenziali, che valorizzano gli incontri di carattere associativo, le conversazioni inequivocabilmente riferibili ad un contesto mafioso, i convegni destinati a discutere di fatti di ‘ndrangheta, la distribuzione di cariche e ruoli specifici.

Così si è arrivati alla giornata di oggi, 16 ottobre 2018: sulla scia del precedente costituito dal processo “La Svolta”, ed in ossequio ai principi di diritto elaborati dagli Ermellini nel giudizio rescindente, la Corte d’Appello di Genova ha scritto un’altra pagina storica della cronaca giudiziaria locale, in quello che è stato il primo, ma anche il più tormentato, processo di ‘ndrangheta nella nostra Regione.

Sono stati condannati per il reato di associazione mafiosa a sette anni e nove mesi Onofrio Garcea; a sei anni i due fratelli Barillaro, Fortunato e Francesco, Michele Ciricosta e Benito Pepè; a quattro anni e otto mesi a Rocco Bruzzaniti, Antonino Multari e Lorenzo Nucera ed infine a tre anni e un mese Raffaele Battista. La Corte ha confermato, invece, l’assoluzione per Antonio Romeo, accusato di far parte del locale di ‘ndrangheta di Sarzana.

In attesa di conoscere le motivazioni di questa sentenza, che verranno illustrate su questo sito non appena disponibili, il cerchio sembra essersi finalmente chiuso: le mafie, in Liguria, esistono; tanto nel ponente ligure, quanto nel Tigullio, quanto nel capoluogo genovese.