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Sulla visita della Commissione parlamentare d’inchiesta, gennaio 2015, in tema di illeciti ambientali nel territorio ligure.

Il 20 gennaio 2015 la Commissione parlamentare d’inchiesta Ecomafie presieduta dall’onorevole Alessandro Bratti ha iniziato la sua attività d’indagine in Liguria; lo scopo è consistito nel verificare la questione del ciclo integrato dei rifiuti urbani e le procedure di bonifica dei siti più contaminati, come quello di Pittelli (La Spezia) e Stoppani (Cogoleto). A sollecitare l’interesse verso Genova e dintorni sono stati i casi di cronaca legati al mondo dello smaltimento dei rifiuti e le possibili infiltrazioni di criminalità organizzata in tali procedimenti.
L’analisi parlamentare comincia da La Spezia, in Prefettura, con le audizioni dei principali soggetti interessati ai temi della tutela ambientale, per poi proseguire con la visita alla discarica e al Porto. Nello stesso giorno, nella Prefettura genovese, vengono raccolte le relazioni del Prefetto Spena, dei rappresentanti sindacali dell’Amiu, del Prefetto di Imperia, di un collaboratore del Prefetto di Savona, assieme ad alcune associazioni ambientaliste.
Il 21 gennaio i parlamentari visitano Scarpino, eseguono ulteriori audizioni, visitano il Porto e i siti di smaltimento della Costa Concordia.
Per il 23 gennaio è programmato un incontro col presidente Burlando (attualmente sotto indagine, secondo i media locali, per la vicenda legata alla Tirreno Power, n.d.r.) e gli assessori competenti (Paita e Guccinelli), per chiedere informazioni a proposito delle discariche genovese e spezzina. In questa sede viene constatata la frammentazione e il numero eccessivo di gestori che hanno causato, nella Regione, una grave disorganizzazione ed un vero e proprio stato di emergenza rifiuti.

Estremamente rilevante e densa di contenuti si è rivelata l’audizione del Procuratore di Savona Francantonio Granero, tornato nella sua terra dopo trent’anni (all’inizio della sua carriera in magistratura aveva lavorato al Processo Teardo). Egli lamenta, anzitutto, di aver trovato una “sorta di deserto dal punto di vista giudiziario”.
Il Procuratore non lesina giudizi anche molto severi: “La mia sensazione è che non ci sia una sola cava o una sola discarica che sia completamente in regola”. Emerge altresì che, in questa situazione, le discariche sono un terreno fertile per situazioni di carattere criminogeno, non necessariamente di stampo mafioso ma piuttosto associate a fenomeni corruttivi della pubblica amministrazione. E’ emerso inoltre che la società che gestisce una delle discariche di Savona è una società lussemburghese, partecipata dal comune di Vado Ligure e dal comune di Savona: “Vedremo poi se questa estero-vestizione sia o non sia un reato, ma è comunque una situazione che, dal punto di vista della cultura giuridica, stride un po’”. Quanto ai rifiuti, “ci sono camion di rifiuti che scorrazzano da una parte all’altra della Liguria, e non solo della Liguria” ed i problemi legati alle immissioni in atmosfera e ai reflui nelle acque.
In particolare, Granero racconta come la cava Fazzari sia de facto gestita dalla mafia: la titolare infatti è la moglie di Carmelo Gullace detto “Ninetto”, presunto boss della ‘ndrangheta ligure (secondo la D.I.A. referente per l’intero Nord-Ovest), arrestato il 6 marzo per usura, tentata estorsione, intestazione fittizia di beni (e già noto alle forze dell’ordine, nonché ai Palazzi di Giustizia, per numerose e gravi inchieste in tema di omicidio e sequestro di persona, n.d.r.). Nel frattempo Regione e Comuni si rimpallano la responsabilità circa il mancato piano di gestione e le strategie soggette a repentini cambiamenti di rotta, del tutto inadeguate e scostanti.
E’ importante segnalare, ancora, le questioni relative all’inchiesta sul trasferimento delle ceneri dell’impianto Tirreno Power; da questa investigazione sono germogliate nuove, numerose, attualissime indagini.
Il capo d’imputazione del filone principale è il disastro ambientale; gli inquirenti hanno accertato, nella zona, almeno 440 morti, dovute alle polveri emesse dalla centrale.
Inoltre, sono stati registrati 1.900 ricoveri solo per malattie cardiovascolari e respiratorie, senza contare l’alta quantità di tumori diagnosticati. E’ scientificamente provato che il carbone e la combustione del carbone provochino l’insorgenza di carcinomi. Peraltro gli inquirenti si sono avvalsi di consulenti di spessore, per verificare accuratamente il nesso eziologico tra l’attività della Tirreno Power e l’insorgenza di gravi patologie.
Il procuratore ha puntato il dito contro la gestione dell’impianto: “Ci siamo resi conto che tutto ciò che veniva architettato e deciso era fatto per eludere, non per risolvere” e si rammarica per aver dovuto trasferire una cospicua mole di faldoni alla D.D.A. genovese, per ragioni di competenza.
L’indagine sulla Tirreno Power è nata per il fatto che l’azienda non aveva rispettato delle prescrizioni di Autorizzazione Integrata Ambientale; anziché attivare gli impianti a metano, l’azienda continuò a lavorare a carbone, provocando gli ingenti danni sopra descritti. Le Istituzioni, che avrebbero dovuto vigilare ed attivarsi in questo senso, sono state latitanti (se non colluse). Granero avanza addirittura il sospetto, per ora non supportato da prove, che a Vado si bruciassero anche rifiuti.
Più in generale, il Procuratore Capo lamenta gravi carenze di organico a Savona e lancia l’allarme in relazione alla propria incolumità: “Credetemi, abbiamo veramente fatto miracoli. Io sono stato soggetto a pressioni di tutti i tipi, come ricatti e pedinamenti. Se si vanno a toccare determinati interessi, succede questo”. E conclude in modo amaro: “Sono tornato esattamente dopo trent’anni e ho trovato la stessa situazione che avevo trovato allora, ossia una struttura di poteri trasversali, priva di qualunque colore partitico, composta da poche persone, che domina tutta l’attività economica e finanziaria del territorio. Non è un bel quadro quello che vi ho fatto, lo so, ma, o diciamo delle cose vere, o è inutile parlare”.
Il 19 febbraio 2015 la Commissione Parlamentare d’inchiesta ha effettuato un ulteriore sopralluogo a Taggia, nella discarica di Collette Ozotto. La Procura aveva chiesto e ottenuto il sequestro dell’area destinata alla realizzazione del Lotto 6. Sono indagati nell’inchiesta con l’accusa di falso ideologico: Enrico Lauretti, dirigente imperiese, Andrea Valente Arnaldi e Bruno Bianchi.

A conclusione della missione durata tre giorni, la Commissione è stata costretta a constatare che dai porti di Genova e La Spezia partono periodicamente navi cargo contenenti rifiuti pericolosi, speciali e tossici:
– in Nord Africa vengono generalmente inviati i materiali elettrici esausti o di scarto;
– verso la Cina sono dirottati materiali ferrosi e rame, auto rubate e smantellate;
– In India giungono componenti elettriche e elettroniche di scarto.
Dietro questi traffici, si suppone ci sia qualche organizzazione criminale o comunque un’unica regia. Sono materiali che provengono da molte zone d’Europa e l’analisi del traffico transfrontaliero dei rifiuti è una delle missioni centrali della Commissione, che ha redatto uno specifico dossier.
Nel mirino degli inquirenti sono finiti inoltre alcuni fra i lavori più importanti assegnati a Genova negli ultimi anni:
– manomissione sulla fase preparatoria della Gronda autostradale;
– dismissione della Costa Concordia;
– gestione dei rottami dell’ultima alluvione;
– discarica di Scarpino;
– centrale Enel in Porto.
Il Procuratore di Genova, una volta ricevute le intercettazioni provenienti dall’inchiesta per disastro ambientale sulla centrale di carbone, ha aperto cinque fascicoli d’inchiesta, ipotizzando reati ambientali, abuso d’ufficio, episodi di corruttela e possibili infiltrazioni di organizzazioni criminali.
Molte di queste indagini sono ancora in corso per cui le parti di verbale ad esse dedicate sono state secretate.
Nella centrale Enel è emerso un particolare problema legato ai depositi di carbone portuali. Due anni fa vennero posti sotto sequestro interamente dalla Procura e l’impianto dovette rallentare la produzione; lo spostamento della centrale è previsto già da molti anni.
Il tema dei rifiuti speciali è stato al centro dell’attenzione anche a seguito dell’alluvione, quando la concomitante chiusura di Scarpino, a causa delle inchieste della magistratura, aveva generato un’emergenza legata allo smaltimento dei fanghi raccolti nelle strade invase dall’esondazione del Bisagno.
La nota inchiesta dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico che aveva portato all’arresto del dirigente Amiu Corrado Grondona e diversi imprenditori (tra cui Gino Mamone, già condannato in primo grado per corruzione in altro procedimento e vicino alla cosca dei Mammoliti secondo alcune informative delle Forze dell’Ordine, n.d.r.), aveva fatto emergere una serie di presunti illeciti relativi allo smaltimento nella discarica di Scarpino di materiali che avrebbero dovuto finire in appositi siti (con un costo decisamente maggiore). Proprio di Mamone e della sua Ecoge, oggi messa in liquidazione, ha parlato il presidente Claudio Burlando nella sua audizione davanti alla commissione parlamentare (si ricorda inoltre che Mamone è tra i finanziatori dell’associazione politica “Maestrale”, che fa capo proprio al Governatore, n.d.r.).

Il novero dei danni per illeciti ambientali è davvero nutrito: le banchine di Calata Bettolo sono state riempite, dicono fonti autorevoli, con rifiuti tossici. Questo, secondo il Comandante della Guardia Forestale Morolla, è accaduto perché “non c’erano controlli in entrata e in uscita”. Così, il cantiere dei riempimenti è stato a lungo alla mercé di un gruppo di ditte che falsificava gli ingressi e ha trasformato il sito in una discarica abusiva.
Fra i dieci indagati della Procura della Genova emergono contatti con famiglie della ’ndrangheta e della mafia siciliana. L’area è stata sottoposta a sequestro la scorsa estate su richiesta del pubblico ministero Patrizia Ciccarese. In tutto sono dieci gli indagati: i due responsabili del cantiere, sei autotrasportatori e due imprenditori attivi nel settore delle demolizioni. L’accusa nei loro confronti è di traffico organizzato di rifiuti.
Per ciò che riguarda i collegamenti con clan calabresi e siciliani è emersa, in particolare, l’ipotesi di connivenze tra la ditta conferitrice dei rifiuti e il personale dell’impresa che stava realizzando le opere. La prima delle due imprese ha sede legale a Monreale, a Palermo, e una base operativa a Genova. Dai tabulati del personale che operava nel cantiere, anche in nero, si è potuto verificare che questi personaggi fossero stati recentemente controllati insieme a un componente della famiglia Strangio, legata alla criminalità organizzata del crotonese. Un altro dipendente, residente a Campomorone, è stato fermato in compagnia di un membro della famiglia Lo Iacono, originaria di Vallelunga Pratameno di Caltanissetta, colpita recentemente da pesanti misure preventive antimafia. Nel 2009 la D.I.A. aveva sequestrato due milioni di euro di beni ad Antonino Lo Iacono, indicato in alcuni atti come emissario del boss Giuseppe “Piddu” Madonia e coinvolto più di recente in un’inchiesta per appalti truccati a Ceranesi. Vale la pena di ricordare che Genova non è nuova all’infiltrazione della mafia nissena, che negli anni ’90 impiantò una decina in centro storico (clan Fiandaca-Emmanuello), responsabile di gravissimi reati e colpita con severe condanne (anche per 416-bis c.p.). Il capocantiere dell’impresa che ha ricevuto i rifiuti è un pregiudicato che nel suo paese d’origine (Bronte, provincia di Catania) incontrava soggetti con precedenti per associazione mafiosa ed è segnalato per la vicinanza ai clan Laudano, Mazzei e Santapaola.