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A seguito dell’imponente operazione giudiziaria denominata “Crimine/Infinito”, portata avanti grazie ad una proficua collaborazione tra le Procure Distrettuali di Reggio Calabria e di Milano, è cosa ormai nota che la ‘ndrangheta sia una un’associazione dotata di una struttura ben precisa, alla cui base troviamo un nucleo familiare (denominato “‘ndrina“) e al vertice troviamo una struttura di controllo (denominata “crimine”); più ‘ndrine, se composte da un numero minimo di affiliati, possono poi comporre la cosiddetta locale, al cui vertice troviamo il capo locale.

La locale, è ormai noto, può essere costituita anche in un territorio diverso dalla casa madre (la Calabria) quale ad esempio una regione settentrionale (Liguria, Piemonte, Emilia-Romagna..); inoltre, quando su uno stesso territorio coesistono più locali, queste sono coordinate da una di esse in qualità di camera di controllo (‘ndrangheta, come funziona: guarda l’infografica). Secondo quanto emerso nel processo “La Svolta“, in Liguria il ruolo di camera di controllo era svolto dalla locale di Ventimiglia, che secondo la ricostruzione giudiziaria coordinava tutte le ‘ndrine liguri e fungeva sia da filtro con la Calabria che da “camera di transito” per la Costa Azzurra (si veda in particolare p. 256 dell’Ordinanza di Custodia Cautelare).

Le chiave di accesso all’associazione criminale è rappresentata dall’affiliazione, ossia da una particolare procedura con cui un determinato soggetto entra ufficialmente a far parte della ‘ndrangheta. L’affiliazione avviene mediante una cerimonia ben precisa che prende il nome di battesimo. Del battesimo esistono specifiche varianti, anche a seconda della dote che si sta assegnando (ad esempio, per il santista e il vangelo si traccia una stella sulla spalla del battezzato) ma la pratica iniziale consiste solitamente nell’incenerimento di un santino.

Con il battesimo, l’affiliato riceve una dote (o fiore) e gli viene assegnata una carica (ossia la funzione che l’affiliato svolge in una delle strutture della ‘ndrangheta, come capo-locale, capo-bastone – che regge una ‘ndrina, contabile, etc.).

Durante il battesimo è poi fondamentale il rituale della copiata. Si tratta, nel dettaglio, della formula con cui ogni affiliato, per far riconoscere la sua appartenenza alla ‘ndrangheta, riferisce (all’atto della presentazione ad un altro affiliato) i nomi e cognomi di tre (o cinque, per le cariche della società maggiore) persone che gli vengono rivelate o partecipano all’atto dell’affiliazione. Così facendo l’altro affiliato ne riconoscerà l’appartenenza alla ‘ndrangheta perché si tratta di nominativi conosciuti solo dagli appartenenti alla struttura criminale.

Dal punto di vista giuridico, i riti di affiliazione risultano attualmente al centro di un vero e proprio dibattito giurisprudenziale, al punto che in data 9 Febbraio 2021 la I sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto di dover rimettere alle Sezioni Unite della Corte stessa (collegio che si occupa di dirimere i contrasti giurisprudenziali) il seguente quesito: “se la mera affiliazione da una associazione a delinquere di stampo mafioso cd. storica, nella specie ‘ndrangheta, effettuata secondo il rituale previsto dalla associazione stessa, costituisca fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità in ordine alla condotta di partecipazione, tenuto conto della formulazione dell’art. 416-bis c.p. e della struttura del reato dalla norma previsto” (ordinanza n. 5071/2021).

Nell’attesa di conoscere quale sarà la posizione delle Sezioni Unite (l’udienza davanti è fissata per il 27 Maggio 2021*) non può non ricordarsi come il rito di affiliazione del battesimo, e in generale le riunioni in cui vengono assegnate le doti o le cariche agli affiliati, assumano un ruolo fondamentale nel contrasto alla criminalità organizzata, dal momento che il rito rappresenta il primo indice sintomatico dell’esistenza, su un dato territorio, di un sodalizio riconducibile alla ‘ndrangheta.

Andando nel dettaglio, attualmente dalla letteratura storiografica e giudiziaria risultano note le seguenti doti:

  • giovane d’onore (è un titolo e non una vera e propria dote, assegnato per “diritto di sangue” al momento della nascita e spetta ai figli di ‘ndranghetisti, come buon auspicio per il successivo passaggio a picciotto d’onore);
  • picciotto d’onore (è la prima dote nella gerarchia della ‘ndrangheta. Chi riveste tale grado, è un mero esecutore di ordini che deve cieca obbedienza ai gradi superiori);
  • camorrista (è un affiliato con una certa esperienza ed importanza, maturate dopo un periodo di “tirocinio”. Al camorrista competono funzioni che non possono essere affidate al picciotto); sgarrista o camorrista di sgarro (riveste incarichi di particolare rilievo; queste prime te doti compongono, all’interno di una locale, la cd. “società minore“);
  • santista (è l’affiliato che ha ottenuto la “santa” per meriti criminosi e costituisce il primo grado della “società maggiore”);
  • vangelo (dote di livello più elevato, ottenuto per più meritevole condotta delinquenziale); quartino e trequartino (doti create successivamente come figure intermedie fra questa e quella di “padrino o quintino”);
  • padrino o quintino (è la massima dote raggiunta nell’ambito della ‘ndrangheta. Soltanto un numero ridotto di affiliati può vantare tale dote, che conferisce particolare prestigio e privilegi, ma altrettante responsabilità).

Per quel che concerne nello specifico la Liguria, dei veri e propri riti criminali di matrice ‘ndranghetista sono stati riscontrati e analiticamente descritti sia nell’ambito del processo “La Svolta” sulla ‘ndrangheta a Ventimiglia e Bordighera sia nell’ambito del processo “Maglio 3” sulla ‘ndrangheta a Genova, processi questi entrambi conclusisi con la condanna definitiva degli imputati.

Nella seconda parte di questo speciale contributo vi racconteremo quali sono i riti e gli incontri più rilevanti che si sono svolti sul territorio ligure, come accertati nell’ambito delle indagini preliminari del procedimento “Maglio 3“.

*Le Sezioni Unite si sono successivamente pronunciate enunciando il seguente principio di diritto “la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si sostanzia nello stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione; tale inserimento deve dimostrarsi idoneo, per le caratteristiche assunte nel caso concreto, a dare luogo alla “messa a disposizione” del sodalizio stesso, per il perseguimento dei comuni fini criminosi” (Cass. Sez. Un.36958/2021). La Corte, dunque, pare non ritenere sufficiente il mero affiliarsi, richiedendo l’accertamento di una concreta messa a disposizione in favore del gruppo criminale.

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Per un maggiore approfondimento si vedano:

  • Maglio 3, Ordinanza di Custodia Cautelare del GIP di Genova del 24 Giugno 2011“, disponibile su questo sito.
  • E. Ciconte, Riti Criminali. I codici di affiliazione alla ‘ndrangheta, Rubbettino, 2015.