Quando abbiamo deciso di intitolare, simbolicamente, l’Osservatorio sulle Mafie in Liguria ad una vittima del crimine organizzato, ci siamo posti il problema di individuare un profilo che potesse rappresentare la nostra attività, la nostra ambizione, i nostri valori. Volevamo inoltre attribuire il giusto riconoscimento ad una figura non adeguatamente raccontata alle giovani generazioni, commemorata solo nelle occasioni ufficiali. Anche la memoria infatti, come ricorda spesso Nando Dalla Chiesa, è un fatto di classe. Non tutte le vittime di mafia hanno la medesima dignità; non tutte hanno ricevuto un equo tributo dal proprio Paese.
Eppure, tutte, sono cadute a causa dello stesso, terribile, nemico. Chi perché ha cercato di affrontarlo, a viso aperto; chi perché, magari senza volerlo, ci si è imbattuto. Perché la mafia è un’organizzazione criminale che non risparmia nemmeno chi decida di non curarsene.
Dunque, ci siamo interrogati su chi potesse, almeno idealmente, richiamare il nostro lavoro. Un giornalista? Un magistrato? Un poliziotto?
Noi siamo studenti e neolaureati, prevalentemente in materie giuridiche. Tra di noi sono presenti sensibilità diverse: c’è chi sogna di passare il concorso in magistratura, chi desidera indossare una divisa, chi vorrebbe raccontare il mondo cui viviamo, dalle pagine di un giornale o su quelle di un libro.
Ebbene, non era facile trovare una persona che rappresentasse, nel contempo, le nostre diverse anime. Poi abbiamo avuto un’intuizione: noi ragazzi dell’Osservatorio abbiamo lo scopo di raccontare un fenomeno che è stato a lungo sottovalutato, incompreso, ignorato. Ci siamo chiesti dunque: chi ha saputo afferrare gli aspetti più rilevanti del fenomeno mafioso, allora ancora poco indagato? Chi ha avuto la capacità di descriverne la complessità, rivelandone natura, strumenti e obiettivi?
Senza voler stabilire primati – anzi con la consapevolezza che ogni risultato conseguito nella lotta alla mafia è stato il frutto di uno straordinario sforzo collettivo – sicuramente Boris Giuliano è stata una di quelle persone che, per prime, hanno saputo decifrare Cosa Nostra, fornendo un contributo estremamente prezioso per la comprensione delle dinamiche del sodalizio.
Ma Boris Giuliano era anche una persona come tante, vorremmo dire come noi. Amava lo sport, in particolare il basket; era appassionato di viaggi, che da ragazzo si auto-finanziava con piccoli lavoretti (ne sappiamo qualcosa…); era un perfetto conoscitore della lingue inglese.
E soprattutto, come noi, era una persona entusiasta, desiderosa di mettersi in gioco ed orgogliosa di servire il proprio Paese: dopo la strage di Ciaculli del 1963, in cui morirono sette uomini delle Forze dell’Ordine, chiese di essere assegnato alla Squadra Mobile di Palermo, di cui sarebbe divenuto il Capo alla fine della carriera, interrotta prematuramente dal vile piombo mafioso. Boris Giuliano fu un grande investigatore, acuto e lungimirante nelle sue analisi. Tra i primi, infatti, se non per primo, intuì i traffici di droga che collegavano Palermo agli Stati Uniti, fonte inesauribile di profitto per le cosche; tra i primi, ancora, “seguendo gli assegni” (anticipando, così, la grande lezione di Giovanni Falcone), scoprì il riciclaggio del denaro sporco da parte di Cosa Nostra.
La validità del suo lavoro ha trovato pieno riconoscimento nelle parole di Paolo Borsellino, che così si esprime nella storica ordinanza-sentenza di rinvio a giudizio del maxi-processo (Trib. Palermo, Uff. Istruzione, 8 novembre 1985, Abbate Giovanni + 706):
- “Deve dunque ascriversi ad ennesimo riconoscimento dell’abilità investigativa di Boris Giuliano se quanto è emerso faticosamente solo adesso, a seguito di indagini istruttorie complesse e defatiganti, era già stato da lui esattamente intuito e inquadrato diversi anni prima. Senza che ciò voglia suonare critica ad alcuno, devesi riconoscere che se altri organismi statuali avessero adeguatamente compreso ed assecondato l’intelligente impegno investigativo del Giuliano, probabilmente le strutture organizzative della mafia non si sarebbero così enormemente potenziate e molti efferati assassinii, compreso quello dello stesso Giuliano, non sarebbero stati consumati”.
La determinazione e la competenza di Boris nella lotta al crimine mafioso andavano fermate: il 21 luglio del 1979 veniva ucciso nel bar sotto casa, mentre si apprestava a consumare la sua amata iris, a colazione. A lui dedichiamo questo lavoro, sperando di fare cosa gradita, e confidando che continui a vegliare su di noi, per guidarci in questa difficile e quanto mai attuale sfida. Vogliamo raccogliere il suo testimone. E quando mangeremo un cornetto (dovendoci accontentare della più modesta tradizione dolciaria locale), durante una delle nostre interminabili riunioni-fiume, ripenseremo ai suoi baffoni scuri, sporchi di zucchero a velo.
A noi piace ricordarlo così.